Il ministro Cancellieri, ministro della Giustizia del governissimo Letta ha chiamato due vice capi di dipartimento del Dap (il Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria) per chiedere l’assegnazione agli arresti domiciliari di Giulia Ligresti. Al momento della telefonata, la signora Ligresti si trovava in carcere nell’ambito dell’inchiesta che aveva portato il padre Salvatore agli arresti domiciliari per falso in bilancio e manipolazione di mercato. Il ministro, pur disposto a riferire in Parlamento, non smentisce e si difende sostenendo che si è trattato di un atto umanitario volto a evitare “gesti autolesionisti”. La levata di scudi spetta, come di consueto, ai garantisti dell’ingarantibile del Pdl, con l’eterno secondo Alfano pronto a parlare di “strumentalizzazione della vicenda”.

Ora, il ministro che fu del governo Monti, quello dell’austerità, del loden, della richiesta di sacrifici e della rinuncia allo stipendio, ha ritenuto opportuno chiedere un favore alle buone anime del carcere perché si mettessero una mano sul cuore per la povera signora Ligresti. Precisiamo che spiace che la suddetta si trovi in condizioni precarie di salute. Spiace che un essere umano abbia problemi gravi di salute, soprattutto dentro un luogo duro come il carcere. Ma è proprio necessario che il ministro, per di più su chiamata di Antonino Ligresti, si muova per chiedere un favore? Proprio il ministro che si mostrava come un massimo esempio di integrità?

La Cancellieri dovrebbe dimettersi immediatamente, non perché ha commesso un reato, ma per senso del pudore. Nella situazione nella quale ci troviamo, un atto del genere è un insulto agli elettori. È un insulto al Paese. A chi cerca quotidianamente di restituire credibilità all’Italia. A chi si batte ogni giorno, spesso a rischio della propria vita, per la legalità. Perché un atto del genere non è altro che un vecchio elemento della triste tradizione “dell’amico dell’amico”. Per di più, in un momento in cui le storie di Aldrovandi e Cucchi gettano discredito su tutto l’ordine costituito, Stato compreso.

Perché mai si dovrebbero rispettare le regole di questo Paese quando un ministro si permette di favorire personalmente un detenuto (pur con tutte le buone ragioni del mondo) solo perché “celebre”? Il problema non è la signora Ligresti ma il ministro che non fa che mettere in pratica un’odiosa consuetudine nostrana. La stessa che fa saltare le file e che permette l’assegnazione opaca degli appalti. Un comportamento che dobbiamo scrollarci di dosso. Un atteggiamento che dobbiamo aberrare. Non è più tollerabile se si vuole andare avanti.

Capisco che, se abbiamo addirittura difficoltà ad applicare una legge, non nelle sedi dei tribunali ma in Parlamento, il resto risulta difficile. Ma se vogliamo uscire dalla palude, allora che non si facciano clamorose figuracce e che non si prenda in giro il Paese. Forse è il caso di pensare a una generazione in gran parte marcia, che da “Mani Pulite” non ha tratto l’insegnamento di dover migliorare. Siamo ancora fermi all’età dell’inciucio e della conoscenza. Che è passata per le maglie troppo larghe della rete dell’indignazione.

Nel caos generale siamo forse ancora disposti a tollerare che il Ministro della Giustizia, di fronte al disastro delle carceri nostrane e delle disumane condizioni di migliai di detenuti qualunque, si permetta di fare favoritismi? E allora “va bene così, facciamoci del male!”.

Penna Bianca  -ilmegafono.org