Uno scandalo, una vicenda irritante che prosegue nel silenzio diffuso di buona parte dei media e, soprattutto, della politica nazionale. Quello che continua ad avvenire a Niscemi (Caltanissetta) ha dell’inconcepibile in un Paese che si fregia di essere democratico. Il 2 giugno prossimo l’Italia celebrerà la festa della Repubblica; pochi giorni dopo si potrebbe celebrare la fine della sovranità popolare in Sicilia. I cittadini di Niscemi e del suo comprensorio sono in lotta da anni per difendere il proprio territorio e il proprio diritto alla salute dal MUOS, il moderno sistema di telecomunicazioni satellitari della marina militare statunitense che dovrebbe sorgere, con le sue antenne alte 149 metri e le due parabole del diametro di ben 18 metri, all’interno della Riserva naturale orientata Sughereta (zona SIC), dove sorge già la base americana NRTF-8, la più grande del Mediterraneo per le telecomunicazioni.

Una battaglia lunghissima che ha conosciuto momenti di alta tensione, culminati nella revoca, da parte del governo regionale, delle autorizzazioni alla realizzazione dell’impianto. La vittoria di un movimento enorme, trasversale, costituito da cittadini che respingono legittimamente una scelta sconsiderata che li condannerebbe ad una dannosa e grave esposizione alle onde elettromagnetiche, pericolosità accertata sia da un precedente studio della stessa Us Navy (quando, originariamente, voleva impiantare il MUOS all’interno della vicina base di Sigonella) che da un altro studio del Politecnico di Torino. La Regione Sicilia ha firmato il provvedimento definitivo di revoca il 29 marzo, il giorno prima della manifestazione indetta del movimento NO MUOS, a cui hanno partecipato oltre 10mila persone provenienti da ogni parte d’Italia e non solo.

Nonostante il provvedimento, però, nel cantiere i lavori vanno avanti. Gli Usa non si fermano, scatenando la protesta degli attivisti che continuano a presidiare l’area senza sosta. Un filmato dimostra come gli operai continuano a lavorare in barba alla revoca. Filmato che il sindaco di Niscemi, l’8 aprile, allega a una nota con cui informa la Regione e l’assessore all’Ambiente della situazione di illegalità prodotta dalla marina statunitense. Il giorno successivo, anche gli attivisti prendono posizione ufficiale, presentando un esposto contro la prosecuzione abusiva dei lavori. Ma il peggio deve ancora arrivare, perché a mettersi contro i cittadini e i loro diritti ci pensa… lo Stato! Il 20 aprile, infatti, il ministero della Difesa impugna, al Tar di Palermo, la revoca delle autorizzazioni firmata dalla Regione, chiedendo anche un cospicuo risarcimento danni. La tensione sale irrimediabilmente e due giorni dopo alcuni militanti NO MUOS entrano nella base e salgono sulle antenne.

Un atto dimostrativo, che però comporta due arresti e cinque denunce. In attesa che il Tar si pronunci, il prossimo 6 giugno, altri due eventi scuotono l’area. Il primo accade l’8 maggio, quando un gruppo di persone cerca di bloccare il passaggio dei convogli militari durante il cambio della guardia. La polizia interviene e carica. Nei tafferugli rimangono feriti alcuni cittadini e due attivisti vengono arrestati.  Il secondo evento, quello che indirettamente coinvolge anche il MUOS, ha un carattere più generale e riguarda il trasferimento nella vicina base di Sigonella di 500 marines. La motivazione è quella di un’eventuale azione in Libia, a seguito degli episodi di violenza dell’ultimo periodo. Una scelta che dimostra la valenza fondamentale della Sicilia nella strategia militare globale americana dei prossimi anni.

Una delle ragioni per cui il popolo siciliano si oppone, rifiutando di diventare un’area militare in mano agli Usa. Un progetto, quello della militarizzazione dell’isola, che va avanti da decenni e che ha già più volte incontrato l’opposizione di militanti e semplici cittadini, ma anche di personaggi di grande spessore istituzionale come Pio La Torre, il quale, probabilmente, è stato ucciso proprio per aver contrastato questa ambiziosa strategia che, storicamente, ha visto gli interessi statunitensi coincidere con quelli dei gruppi criminali che controllano gli appalti in Sicilia. Il grande disegno americano, questa volta, sembra però deciso a non fermarsi davanti a nulla, né alle leggi né al principio intoccabile del rispetto della sovranità popolare, se è vero che dello spostamento dei 500 marines non è stato informato il Parlamento: a denunciarlo, in un’interrogazione ai ministeri degli Esteri e della Difesa, è l’on. Michele Anzaldi (Pd).

Siamo davvero alla fine della dignità di uno Stato, il nostro, che ha abdicato, chinando la schiena miseramente dinnanzi ad un alleato che, negli anni, si è fatto sempre più ingombrante e che continua a fingere di seguire pratiche e percorsi legali, nascondendo l’inganno dentro passaggi burocratici tortuosi e imperfetti. Con molti complici “interni”. Ecco perché, nel frattempo qualcuno si muove su altri versanti: l’eurodeputata Rita Borsellino ha infatti affermato che “per fare chiarezza sui rischi sulla salute del MUOS è necessario l’intervento della Commissione europea che deve verificare i dati e le analisi raccolti sinora”.

Speriamo nell’Europa allora, perché in Italia la gente non conta. Non conta la sua volontà, non il suo diritto a vivere in salute e senza la minaccia ingombrante di leucemie, tumori e malattie da esposizione alle potenti onde elettromagnetiche di un sistema satellitare che, per di più, ha il fine di cambiare il volto futuro della Sicilia: da terra di scambio culturale e commerciale con i paesi del Mediterraneo ad avanguardia di azioni di guerra e di controllo sul Mediterraneo e non solo. Attendiamo allora l’esito del Tar, sperando che per una volta Golia perda contro Davide.

Massimiliano Perna –ilmegafono.org