Questa proprio ci mancava: secondo il ministro Meloni, che siede nel governo accanto a Berlusconi (colui che si è autodefinito il “miglior presidente del Consiglio degli ultimi 150 anni”), i giovani italiani sono affetti da “inattitudine all’umiltà”. Per questo motivo non trovano lavoro, non per altre idiozie sbandierate in piazza dagli studenti e cavalcate dai sindacati, dalla sinistra e dai comunisti. Non trovi lavoro? La colpa è tua che non vuoi adeguarti, che non vuoi accettare l’idea che anche con una laurea puoi andare a lavare i cessi. Ma come non ci abbiamo pensato prima? Siamo troppo impegnati a grattarci la pancia e a guardare la tv e i suoi interessanti programmi per comprendere che il problema è dentro di noi. Meno male che la Meloni, ministro per la Gioventù, ci ha svegliato. D’altra parte lei si è umilmente abbassata a fare il ministro pur di trovare un posto di lavoro. Noi così in basso non ci siamo voluti andare, siamo poco umili, noi vorremmo fare il lavoro per cui abbiamo studiato, ma che pretese!

Perché non accettiamo di fare tutt’altro, impegnandoci in altre occupazioni che con i nostri studi e le nostre competenze non c’entrano nulla? Perché siamo snob. Questa è la fotografia dell’Italia scattata, dall’alto di un palazzo romano, da una giovane fanciulla che da ex dura e pura di An si è trasformata in un agnellino del Pdl, una che da donna non si indigna di fronte allo squallore maschilista del suo capo, alle sue abitudini, alle sue continue volgarità nei confronti del genere femminile, ridotto a merce, a prodotto di scambio e di divertimento collettivo. Una giovane che, grazie alla politica, non ha vissuto mai il dramma di dover trovare un lavoro, non ha mai girato società su società per colloqui che hanno la pretesa di capire, in poco tempo e con qualche domanda, chi sei e quanto vali. La cara Meloni non ha mai dovuto vivere la frustrazione di svolgere un lavoro che non è quello per cui hai sempre studiato, lontanissimo da quello in vista del quale hai fatto mille sacrifici e su cui la tua famiglia ha investito tanto.

Lei si è attaccata al treno dell’impegno di partito, si è saputa muovere bene, con astuzia, ed è arrivata, grazie anche ad una legge elettorale basata sulla nomina e non sull’elezione, ai vertici delle istituzioni. Il potere ubriaca e annebbia, ma questo non può consentire a nessuno, specialmente in questa fase storica, di vomitare idiozie e bestialità. Il ridicolo piano per l’occupazione giovanile presentato da Palazzo Chigi, nelle persone di Sacconi, Gelmini e appunto Meloni, insieme alle dichiarazioni sulla poca umiltà dei giovani, sono l’emblema della totale distanza tra il governo e la realtà del Paese. Etichettare con questa faciloneria un mondo di persone che, da tempo, ha smesso anche solo di sperare di realizzarsi professionalmente, accettando di fare qualsiasi altra cosa, è populismo allo stato puro.

L’Italia, per chi ha scelto di rimanere e di non andare all’estero, è un mosaico di professioni precarie, distanti mille miglia dalle competenze e dagli sbocchi naturali preparati con la carriera scolastica ed universitaria; è un universo di lavoro nero, di contratti fantoccio, di formule di pagamento posticipato persino di 90 giorni. Ci sono migliaia di giovani che fanno di tutto per avere una propria autonomia, che troppo spesso non consente nemmeno di progettare una vita personale. Basta solo per mangiare e coprire le spese (ridotte al minimo). I call-center, le assicurazioni, le squadre di venditori e rappresentanti a provvigioni, i ristoranti, i negozi sono pieni di laureati che hanno dovuto accettare un impiego al ribasso rispetto alle legittime prospettive di carriera. Nei bar, nei distributori di benzina, tra i tavoli dei ristoranti, nelle squallide postazioni telefoniche si muove un esercito di volti segnati da quella che la Meloni chiama “inattitudine all’umiltà”.

Forse il ministro ci ha confuso con quei ragazzi e quelle ragazze che, vestito blu e cravatta blu a pois bianchi, si arruolano come legionari al servizio del Re nei vari circoli e club, quegli stessi imbecilli che cantano “Meno male che Silvio c’è”, sorridendo con la medesima falsità del loro idolo. O forse ci scambia per quei poveri illusi che fanno la fila davanti alle selezioni per quei programmi Mediaset che ripropongono il modello di società disegnato dal Capo.

O ancora è probabile che la Meloni ci scambi per quell’esercito di escort e prosseneti che sono disposti a dar tutto, a partire dalla propria dignità, pur di avere qualche soldino da spendere in qualche boutique di moda o in qualche concessionario, o pur di ottenere una poltroncina in qualche istituzione e giocare a far politica. L’uscita della Meloni non è una battuta, è una strategia, calcolata, scientifica, che mira a convincere la gente che la crisi non è colpa di un mondo imprenditoriale ingordo, spregiudicato e menefreghista, in buona parte basato su meccanismi di sfruttamento, e nemmeno di una politica che non vigila, non interviene e che mortifica le regole e i diritti.

La colpa viene fatta ricadere sulle vittime, verso cui la gente dovrà indirizzare la propria disapprovazione. “Siete sfaticati”, “non volete lavorare”, “la colpa è vostra”: questo vogliono che ci dicano. E qualcuno già lo fa, grazie alla droga cerebrale diffusa da quei mass media che fiancheggiano il potere. Non è più un’offesa stupida come quel “bamboccione” pronunciato dall’ex ministro Padoa Schioppa, nemmeno l’irritante snobismo di Umberto Eco che invitava i laureati a non lamentarsi e ad andare a lavar scale. Qui è qualcosa di più. Si vuole condannare, a forza di riforme distruttive e di messaggi perversi, un’intera generazione al silenzio. Si vogliono coprire le responsabilità di oltre vent’anni di non politica.

Quando smetteremo di sopportare tutto ciò? Quando romperemo il silenzio e costringeremo questa gente privilegiata a guardarci in faccia e ripeterci a quattr’occhi queste idiozie? L’Italia non è un paese per giovani e questo lo si vede, soprattutto se i primi nemici sono gli stessi giovani, come la Meloni, ma se davvero non vogliamo essere costretti ad emigrare all’estero bisognerà far qualcosa. Le parole non hanno più presa. E non possono essere più solo gli studenti a protestare. C’è bisogno di tutti, ma soprattutto c’è bisogno di due cose che al momento davvero sembrano essere beni rari e quasi introvabili: l’indignazione e la rabbia. Ne avete ancora? Quanta ve n’è rimasta?

Massimiliano Perna –ilmegafono.org