I dettagli esatti non li saprà mai nessuno. Li possiamo solo immaginare. A 3500 metri, tra i monti di notte, al buio, in uno scenario d’estrazione aurifera, forse qualche luce d’emergenza di qualche trenino che trasporta l’oro estratto. Urla di uomini, abbracci violenti, caschi di minatori che volano, pugni, mani. Compagni che si aiutano e poi una pistola, uno sparo. Un uomo a terra. Sgomento, paura, fuga. Questo sarà successo la notte di due settimane fa sul Cerro El Toro, quando un gruppo di minatori informali si è scontrato con i vigilantes armati di una grande miniera legale appartenente ai Sanchez-Paredes. A quanto pare, il gruppetto di minatori artigianali ha trovato un giacimento che era già di proprietà della grande miniera e ci è voluto poco perché si sparasse. Il giorno seguente, il dramma prosegue, in città, al cimitero, ovunque. Davanti alla sala dove si parcheggiano le bare prima di inumarle, al cimitero centrale di Huamachuco, si consuma una scena atroce. La polizia non vuole mostrare il corpo alla famiglia, vogliono seppellirlo senza che nessuno lo veda. Dicono che non si è sparato, che il ragazzo di 37 anni è caduto accidentalmente. Vogliono avere potere anche su un funerale.

I suoi compagni minatori dicono di aver visto l’esatto contrario e, dopo gli spari, i vigilantes prendere il corpo e buttarlo in un fossato di pietre, perché si potesse rompere il cranio così da nascondere il colpo di arma da fuoco. Un’autopsia fatta in tempi record conferma la versione della polizia. Le donne tengono stretti gli uomini, lo sanno bene che un pugno ad un poliziotto sarebbe solo altro danno alla famiglia. Le urla della madre sono circondate da un folto gruppo di cittadini che guardano con pena la scena. Gli stessi poliziotti chiamati a guardare la bara, ovviamente le nuove leve, i giovanissimi, hanno la paura e la vergogna negli occhi, lo sanno anche loro che è stato inventato tutto. Sanno di lavorare per una istituzione che difende il denaro e non la giustizia. Sotto il sole cocente delle Ande, si assiste alla macabra morte della verità, delle istituzioni, della dignità.

Tutti sanno cosa è successo ma nessuno osa interrompere il copione. Le grandi miniere hanno tutti nel libro paga, dal guardiano del cimitero al medico legale. Solo perché questa volta non è andata come le altre, quando la grande miniera ammazza e poi minaccia le famiglie delle vittime, al meglio li paga per il silenzio. Per non fare troppo rumore, per non attirare i riflettori internazionali, che sono gli unici che potrebbero cambiare le cose qui.

Aureliano, che vende fiori all’ingresso del cimitero, ci dice: “Domani avranno tutti dimenticato, come sempre è stato e come sempre sarà, qui è così, per l’oro si muore facile”. E ed è stato così, il giorno seguente non c’era più nulla di tutto ciò: tranne due giornalisti di Lima che giravano senza meta, Huamachuco era come sempre, calma, rustica, misteriosa.

Questa non è una storia straordinaria o spettacolare, tanto meno scandalosa, è ordinaria amministrazione tra i monti che circondano Huamachuco, comune della regione La Libertad del Perù. Nel Cerro El Toro, tra i monti più fertili, in termini auriferi, della regione, si trovano piccole miniere artigianali abusive e grandi miniere legali, come quella dei Sanchez-Paredes, famiglia nota in Perù per narcotraffico e commercio di oro (leggi qui), oppure quella della Barrick Gold, colosso canadese dell’oro. Ebbene sì, i grandi, i legali, non tutti, ma molti, hanno vigilantes armati che proteggono i loro giacimenti. Li proteggono da tutti, dai minatori indipendenti, dai giornalisti, dagli attivisti locali e anche dai contadini che passano per di lì perché il loro terreno confina con la miniera. I monti qui intorno brulicano di paramilitari, cadaveri, canadesi in giacca e cravatta e contadini abbandonati da tutti.

Attualmente il Perù è il quinto produttore di oro al mondo. Produzione che per l’80% va nel settore del lusso e dei gioielli. Solo il restante 20% ha davvero una utilità industriale e produttiva. Sui monti qui intorno sparisce un minatore al mese, mi dicono gli attivisti più vivi. Non lo si sa, è raro che se ne parli. Sarebbero capaci di pagare cifre alte per tappare la bocca alla famiglia. La prepotenza economica, la violenza della corruzione, in questi territori sperduti, arrivano a sorpassare ogni livello d’immaginazione. Solo pochi anni fa spararono ad un poliziotto che aveva trovato taniche di cianuro in un garage vicino ad una scuola. Il cianuro è necessario per corrodere la pietra per poter isolare l’oro.

Mentre sui monti si sparava, a Lima si tenevano comizi elettorali. Figurarsi se un candidato passa per Huamachuco. Ci è passato solo Garcia, due volte presidente, e ha raccolto una piazza mezza vuota. Gli ultimi comizi, necessari alle elezioni che domenica scorsa hanno deciso i due candidati che si sfideranno al ballottaggio decisivo per la presidenza del Perù. Loro degli spari non si interessano, non ne vogliono sapere. Solo la Mendoza, tra i candidati maggiori, ne parla. Candidata per il Frente Amplio, coalizione di sinistra socialista, che da anni si batte per uno stato di diritto ed una maggiore libertà dei cittadini. Il resto del quadro politico è desolante.

Inoltre, gli organismi predisposti alla selezione ed ammissione dei candidati alle elezioni, il JEE (Jurados Electorales Especiales) e il JNE (Jurado Nacional de Elecciones), hanno buttato fuori due grandi candidati: Cesar Acuna e Julio Guzman. Il primo per plagio della tesi di dottorato, il secondo per cianfrusaglie burocratiche. Se avessero avuto lo stesso criterio per tutti i candidati, a quest’ora non ci sarebbe Keiko Fujimori, tra i favoriti per la vittoria, e forse, senza scherzare, non ci sarebbe quasi nessuno. Ma secondo gli organismi, tutti gli altri erano puliti, giusto questi due davano fastidio. Non che siano dei salvatori della patria, ma i due candidati in questione stavano crescendo a velocità spaventosa. Guzman, quello più pulito, un buon candidato si potrebbe dire, era indipendente, giovane e di curriculum internazionale, piaceva molto ai peruviani. Acuna, uno dei più ricchi uomini del paese, stava provando a sfidare l’establishment fujimorista. Fuori dalla corsa, la Mendoza ha raccolto i loro voti di protesta e raggiunto uno straordinario risultato intorno al 19%. Pedro Pablo Kuczynski invece al 21% va al ballottaggio con Keiko, arrivata al 39%.

Memoria corta per il Perù, che dimentica quando nel 1990, il padre di Keiko, Alberto Fujimori, prese il paese battendo lo scrittore Vargas Llosa, per poi essere arrestato nel 2000 su mandato di cattura dell’Interpol per violazione dei diritti umani. Quel che è successo dal 1990 al 2000 lo lascio come compito a voi. Lo troverete sul suo conto di sangue: sterilizzazione di mogli di terroristi, sua moglie sulla sedia elettrica perché criticò il marito, praterie legali per multinazionali, narcotraffico in espansione, sospensione dei diritti umani e tanto altro. Ma per il popolo lui è l’uomo che ha salvato li paese dal terrorismo e dalla povertà. Del resto, come spesso succede, i personaggi di questo calibro, basti pensare a Berlusconi, creano lavoro, e questo a una famiglia di 5 membri che vive con 200 euro al mese è sufficiente per eleggerlo capo nazione.

Ora non resta che sperare in Ppk (Pedro Pablo Kuczynski), che è tutto dire. Un economista mondiale di filosofia liberale ultrasettantenne. Molti cronisti dicono lo abbiano candidato solo per la sua reputazione, è troppo anziano e ha problemi fisici. Dicono che dietro ci sia una cordata di imprese automobilistiche, del settore energetico e affini. Non è poi così assurda come versione. Il signore in questione, cugino del regista francese Godard, cammina a stento da solo. Vantaggio per Veronika Mendoza, ma bisogna esser onesti, se non fosse stato per l’esclusione di Guzman e Acuna, lei quel 19% non l’avrebbe mai preso. Un mese fa era al 5%. Però lei di sicuro non aveva gli amici delle miniere, delle imprese del gas, del narcotraffico, della burocrazia e della polizia corrotta, no questo non l’aveva di sicuro. Aveva i giovani, i lavoratori, gli studenti, i professori sottopagati. Aveva la speranza e la bellezza, l’uguaglianza e la dignità. L’unica che lotta per chiudere quegli abissi sociali che dividono il paese. Dove ricchi e poveri non si incontrano. Dove le comunità andine devono vedersela con imprese occidentali che vogliono eliminare la loro tradizione secolare.

Sperando che ora Veronika possa rappresentare quel 19% con forza e dare fiducia al popolo peruviano dimostrandogli che “sinistra” non è più sinonimo di terrorismo. Perché un tempo lo era, in quei tempi in cui il Sendero Luminoso assaltava i villaggi per saccheggiarli. In quei tempi in cui Fujimori faceva sparare a tutti coloro che anche solo lontanamente potevano sembrare di sinistra. In quei tempi in cui ci fu la guerra civile, dal 1980 al 2000. Come domenica, quando il Sendero ha attaccato un convoglio militare che trasportava materiale elettorale in una provincia dell’Amazzonia. Ora i terroristi sono collusi con il narcotraffico. Terminati gli ideali violenti gli è rimasto solo il denaro.

Il 5 giugno si decideranno la presidenza e i prossimi 5 anni del paese. Per le ONG la vittoria della Fujimori significa totale assenza di istituzioni e una serie di ostacoli nelle rispettive battaglie. La notte in cui si sparò, lo ricordo bene, ero fuori, in Plaza des Armas, un uomo con chitarra cantava Javier Heraud di Martina Portocarrero, la storia di un giovane poeta peruviano morto a 21 anni perché parte del movimento della sinistra rivoluzionaria che lottava contro il regime golpista militare del 1963. Mentre cantavano di Heraud, mentre in piazza Bolognesi, a Lima, la Mendoza, anche se sconfitta, incitava a cantare “El pueblo unido jamais sera vencido” per la speranza nel futuro, mentre Keiko brindava a Miraflores, quartiere chic di Lima, con i suoi ominicchi, mentre Juan vendeva caramelle al mercato di Huamachuco, a 3200 metri, avvolti tra le Ande bianche, dove ogni tanto sembra che Dio passi solo di rado, sui monti si moriva per l’oro.

Italo Angelo Petrone -ilmegafono.org

Palabra de guerrillero di Javier Heraud

Porque mi patria es hermosa
corno una espada en el aire,
y más grande ahora y aun
más hermosa todavía,
yo hablo y la defiendo
con mi vida.
No me importa lo que digan
los traidores,
hemos cerrado el pasado
con gruesas lágrimas de acero.
El cielo es nuestro,
nuestro el pan de cada día,
hemos sembrado y cosechado
el trigo y la tierra.