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La lezione di dignità e coraggio degli immigrati di Ballarò

La lezione di dignità e coraggio degli immigrati di Ballarò

A Palermo, lo scorso 23 maggio, una data molto significativa sul fronte della lotta alla mafia, si è conclusa l’operazione “Maqueda”, che ha portato al fermo di dieci persone con le accuse di tentato omicidio, estorsione, incendio, rapina, violenza privata e lesioni personali con le aggravanti del metodo mafioso e della discriminazione razziale. Nella zona di Ballarò, zona ormai da molti anni multietnica e che attira molti turisti in quanto ospita il mercato più antico di Palermo, la Sicilia offriva uno dei suoi ritratti peggiori mescolando mafia e razzismo.

L’operazione, che ha di fatto scardinato il clan egemone nel rione, scaturisce da quattro anni di indagini ma, per la sua riuscita, decisive sono state le recenti denunce dei commercianti ghanesi e bengalesi che, stanchi di subire violenze e minacce, hanno deciso di collaborare con la giustizia. La voglia di denunciare, di smettere di subire, è scattata, lo scorso aprile, in seguito al tentato omicidio di Yusupha Susso, un giovane ghanese a cui, proprio in via Maqueda, fu sparato un colpo in testa dopo un banale diverbio con un affiliato del clan di zona. L’episodio, di per sé già gravissimo, è stato solo l’ultimo di una lunghissima serie di azioni di ritorsione mafiosa contro commercianti e immigrati.

Lo scorso febbraio, tre nigeriani, residenti nella zona, hanno pagato a caro prezzo l’“ardire” di aver rimproverato dei bambini che, con il loro pallone, battevano continuamente contro la finestra dell’abitazione. Un vero e proprio raid punitivo ha raggiunto la casa del “misfatto”, ne ha sfondato la porta e vi ha dato fuoco, rendendo necessario il trasporto dei tre immigrati in ospedale. Proprio questi continui soprusi volti a “sottomettere”, a “far capire chi comanda”, hanno portato la comunità di stranieri della zona a rivolgersi alle autorità facendo nomi e cognomi e identificando estortori e aguzzini. All’indomani del blitz, altri tre commercianti bengalesi, sulla scia del coraggio, hanno deciso di denunciare le estorsioni subite.

I racconti dei vari testimoni delineano un clima di vero e proprio terrore nella zona, tale da portare le vittime a cambiare le proprie abitudini di vita pur di sfuggire alle più inaudite violenze. I boss di zona pretendevano che gli immigrati camminassero a testa bassa: “Anche per uno sguardo di troppo – ha confidato agli inquirenti uno dei denuncianti – si finiva male”. “Ho sempre pagato – ha dichiarato un’altra delle vittime – per paura delle ritorsioni. Qui lo sanno tutti: chi si ribella viene massacrato di botte”. “A Ballarò – è intervenuto sulla vicenda il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando – si è innescato un circolo virtuoso di legalità e civiltà che vede, da un lato, l’impegno della magistratura e delle forze dell’ordine e, dall’altro, la ribellione contro la mafia, il pizzo e la violenza”.

“Protagonisti – ha continuato il sindaco – di questa ribellione, che è una grande lezione di civiltà e cultura della legalità per tutta Palermo, sono i migranti che confermano di essere al centro della rinascita e dello sviluppo libero della nostra città”.

“Noi immigrati – ha dichiarato Adham Darawsha, presidente della Consulta delle culture – siamo popolazioni a bassissimo tasso di omertà”. “Le comunità etniche che vengono da lontano – ha spiegato Darawsha – non conoscono le leggi della mafia e dell’omertà, sono estranee insomma a certe logiche del malaffare. Non dobbiamo pensare che denunciare sia un atto eccezionale, è normale che chi subisce un torto denunci. Anormale è esattamente l’opposto: l’omertà. È di questa che dobbiamo stupirci, non della legalità”. Il riassunto più realistico dell’intera vicenda lo ha offerto un sito satirico che negli scorsi giorni ha scritto: “A Ballarò gli immigrati denunciano il pizzo…è proprio vero non sanno integrasi”. Andrebbero aggiunte solo due parole: “per fortuna!”.

Anna Serrapelle- ilmegafono.org

Autore

Anna Serrapelle

Sono nata a Siracusa e sono sempre stata impegnata nel mondo del volontariato e dell'attivismo sociale. Proprio così, nel 2009, ho conosciuto il megafono e sono entrata a far parte di questa fantastica famiglia. Durante la mia permanenza in Puglia, ispirata dai danni procurati in quella zona dall'Ilva, ho spesso affrontato tematiche ambientali, negli ultimi anni tratto quasi esclusivamente tematiche legate alla legalità.

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