Il forziere deve restare chiuso e protetto da una cortina di egoismo impenetrabile. Hanno bisogno di respingere le regole, il buon senso e gli esseri umani. Chiunque si ribelli va scoraggiato, minacciato e colpito. Il popolo, invece, è necessario rincretinirlo sempre più con menzogne, stereotipi e paure irrazionali. Perché tutto è funzionale a quell’egoismo, che rimane asfissiante anche quando sembra concedere qualcosa e offrire qualche tregua, a patto però che ci si ricordi bene di tenere lo sguardo basso e ringraziare sempre, anche se la tua vita continua ad essere percossa dal bastone dello sfruttamento. Prima la Valle d’Aosta, adesso Lombardia, Liguria e Veneto fanno opposizione compatta contro un programma condiviso di allocazione dei rifugiati in tutto il territorio nazionale.

Stiamo parlando di quattro realtà che, nella classifica delle province autonome e regioni più ricche d’Italia (come da ultimo rapporto Eurostat), occupano rispettivamente secondo, primo, settimo e ottavo posto. I loro governatori protestano, addirittura il governatore lombardo Maroni, quel disastroso ex ministro che costò all’Italia sanzioni internazionali per via dei respingimenti in mare, minaccia di tagliare i fondi regionali a quei comuni che decidessero di accogliere i migranti. La sua prova di forza ha entusiasmato gli alfieri leghisti: dal presidente veneto Zaia, il quale spara numeri a caso sui dati dell’accoglienza della sua regione e di quella lombarda, ai soliti Salvini e Calderoli, che promettono di bloccare le prefetture.

Accanto a loro il governatore ligure Toti e altri esponenti di quella Forza Italia ormai malandata che prova in tutti i modi a seguire Salvini sul suo terreno infame, nella speranza di recuperare consensi o di elemosinare un’alleanza politica che un domani possa puntare al governo del Paese. Ancora una volta, l’Italia ha perso un’occasione per mostrare un po’ di umanità e di logica e manifestare la volontà concreta di gestire un fenomeno che sarebbe assolutamente gestibile e che invece qualcuno (purtroppo anche nel cosiddetto centrosinistra), per ragioni elettorali, vuole continuare a presentare come emergenza, problema, minaccia.

La malafede dei governatori che si oppongono alla equa distribuzione dei rifugiati nelle varie regioni italiane è messa facilmente a nudo, come sempre, dai dati, ossia da quei numeri che gli italiani continuano colpevolmente a ignorare, oltre che dalle parole imbarazzanti di chi non ha nemmeno il decoro di darsi una parvenza di credibilità. Zaia e Maroni parlano di invasione, di necessità di fermare gli arrivi, forniscono numeri lontanissimi dalla realtà. Zaia, ad esempio, ha affermato che Veneto, Emilia Romagna e Lombardia sono le regioni più accoglienti. Peccato, però, che le cifre ufficiali dicano esattamente l’opposto: Lombardia e Veneto, infatti, sono rispettivamente al terz’ultimo e penultimo posto per numero di immigrati accolti, mentre la Valle d’Aosta è ultima.

Le regioni che accolgono di più sono Molise, Sicilia, Calabria e Basilicata, vale a dire alcune tra le più povere. La sola Sicilia, in particolare, accoglie oltre 16 mila migranti: il 22% del totale italiano, contro il 4% del Veneto, giusto per fare un raffronto. Un numero che, nel loro insieme, Lombardia, Veneto, Liguria e Valle D’Aosta non riescono nemmeno ad avvicinare (il totale si ferma a circa 11 mila).

Dati che ancora una volta mostrano una realtà triste: chi ha soldi e ricchezza ne vuole sempre di più e intende custodire la propria egemonia economica gelosamente, concedendo solo qualche briciola attraverso la forza lavoro e rifiutando invece qualsiasi azione di solidarietà, che sarebbe doverosa e obbligatoria. Le ricche regioni del nord, che tanto si intestano la civilizzazione e la costruzione di questo Paese, nascondendo l’apporto decisivo che, soprattutto nel secolo scorso, le maestranze e le professionalità meridionali hanno dato attraverso la massiccia migrazione interna, hanno rivelato una faccia mostruosa. La stessa che un tempo veniva mostrata ai migranti “terroni”, oggi sostituiti, nella classifica del disprezzo e dello sfruttamento, dagli immigrati provenienti dal Sud del mondo.

E la cosa peggiore è che anche le terze o quarte generazioni di quel grande movimento migratorio interno spesso finiscono per adeguarsi alla logica dominante, a pensarla allo stesso modo, nel tentativo triste di sentirsi accettate come “parte” integrante di quell’universo di presunta “civiltà superiore”. Eppure, in realtà, le regioni, nella diffusa illegalità, nell’infiltrazione mafiosa, nella gestione marcia dei centri di accoglienza, nelle ingiustizie (vedi caporalato o sfruttamento nell’agricoltura, ma anche nell’edilizia e in altri settori), si somigliano tutte. La diversità, semmai, risiede proprio in quei numeri e nei diversi atteggiamenti.

In Sicilia, per fare un esempio, Lampedusa ha mostrato il volto della speranza di una terra che negli anni ha capito, ha imparato a comprendere, a non considerare i migranti un problema ma una sfida di solidarietà e accoglienza, un’opportunità di crescita culturale. Non è un caso che i lampedusani abbiano eletto Giusi Nicolini, che è ben altra cosa rispetto ai suoi predecessori e che oggi si appella ai sindaci dei comuni del nord, affinché si ribellino alla grave ingerenza di Maroni (il quale, comunque vada, è riuscito in quello che forse era il suo intento primario: distogliere l’attenzione sull’inchiesta che lo vede indagato per induzione indebita e turbata libertà).

Al di là di ciò che i sindaci del nord decideranno di fare, dunque, sarebbe molto bello e utile, anche storicamente, se i primi cittadini dei comuni delle regioni del Sud che accolgono più migranti, con in testa la Sicilia, avvertissero un profondo senso di orgoglio e cominciassero a impegnarsi ancora di più per migliorare le condizioni dell’accoglienza, creare occasioni di incontro e scambio, sentire come parte fondante della propria identità il principio della solidarietà umana, dell’ospitalità che si trasforma in convivenza. Come avviene a Lampedusa, come è avvenuto nella storia, grazie alla pesca, a Mazara del Vallo, in Sicilia, o come accade tutt’oggi a Riace, in Calabria, grazie al sindaco Mimmo Lucano, e in tanti altri posti che rappresentano una speranza.

La speranza di costruire un mondo migliore, ma anche quella di vedere annichiliti i razzisti e soprattutto i “traditori”, cioè quei (pochi, per fortuna) meridionali che applaudono uno come Salvini il quale, se potesse, li brucerebbe vivi. Per i sindaci del Sud, trasformare questa ennesima manifestazione di miseria morale, offerta dai vari Maroni, Zaia, Toti, Salvini, in un’occasione di rivendicazione di umanità e dignità sarebbe una grande vittoria culturale e sociale, una rivincita orgogliosa che gioverebbe enormemente alla società meridionale, alla sua immagine internazionale e al suo futuro.

Massimiliano Perna –ilmegafono.org