Un’ edizione da record, quella del 2019, per il Festival promosso ormai da otto anni dalla Casa della Carità di Milano attraverso il suo SOUQ – Centro Studi sulla Sofferenza Urbana. A partire dal numero di film che si sono iscritti al concorso: più di 250, provenienti da 48 Paesi. Tra queste opere, tutte di alto livello, ne sono state selezionate 24, proiettate al pubblico (a ingresso gratuito) da venerdì a domenica scorsa per la prima volta all’Anteo – Palazzo del Cinema. Ancora una volta, a prevalere tra i film in concorso – suddivisi nelle categorie animazione, fiction e documentario – è il tema dell’immigrazione, con uno sguardo che è però diverso rispetto al passato. Se alcuni anni fa, infatti, i registi raccontavano prevalentemente l’emergenza sbarchi o i movimenti dei migranti in Italia e in Europa, ora al centro delle pellicole c’è sopratutto la vita dei migranti laddove si sono stabiliti.

Molto sentiti dai registi italiani, ad esempio, sono due temi che sono al centro del dibattito politico attuale: la cittadinanza dei figli di stranieri nati o cresciuti in Italia, il cosiddetto ius soli o ius culturae e i diritti dei riders. SOUQ Film Festival non manca però di lasciare spazio anche ad altri importanti temi, quali la violenza contro le donne, la battaglia – sempre delle donne – per l’affermazione dei loro diritti e delle loro libertà e la lotta per uscire dalla povertà e dall’esclusione sociale. Temi che sono stati approfonditi anche nei due lungometraggi fuori concorso, “Sinfonìa” e “Jungle, a Modern Odyssey”.

A conquistare la giuria tecnica e a vincere di fatto l’ottavo SOUQ Festival è stato “Fireflies”, dell’italo-francese Amelia Nanni, film girato in Belgio sull’incontro tra due mondi diversi, rappresentati da due bambini: “Con una regia sicura che rivela la grande abilità e padronanza nell’uso del medium cinematografico, e una fotografia molto curata, la regista affronta il tema dell’immigrazione e dell’integrazione con delicatezza e profondità. Il suo lavoro con i giovani attori restituisce in modo naturale allo spettatore l’immaginario e le emozioni di bambini costretti ad affrontare situazioni superiori alle loro stesse forze”.

Sia il premio del pubblico sia quello della giuria giovani (composta dagli studenti del corso di Comunicazione Interculturale dell’Università Cattolica di Milano, tenuto dalla professoressa Anna Sfardini) sono andati a “Baradar”, di Beppe Tufarulo, corto che pone l’accento sul dramma della separazione: “Una storia di lotta, di amore fraterno, di solitudine forzata, di coraggio. È una testimonianza del difficile senso della separazione che ogni migrazione produce”.

“Il cortometraggio racconta una storia dalla fortissima carica emotiva – questa la motivazione del premio – incentrata sulla vicenda di due fratelli, Ali e Mohammed, di 10 e 18 anni, costretti a separarsi dopo che – tre anni prima – una bomba aveva distrutto la loro casa a Kabul e ucciso i loro genitori. Il fratello più grande deve partire per la Grecia per ricominciare e preparare una nuova vita anche per il fratellino, che al momento deve lasciare solo. Si tratta di una storia tanto sofferta e drammatica quanto tristemente ordinaria, il lato più umano di una tematica al centro del dibattito pubblico, capace però di portare il nostro sguardo al di là di quel mare da cui oggi vediamo arrivare i cosiddetti ‘barconi’. I dialoghi tra i due fratelli, le scene tra le mura domestiche e anche soltanto i piccoli gesti dei due sono in grado di raccontare perfettamente la sofferenza della separazione e la difficoltà per il fratello minore di accettare la partenza di una figura importante, l’unico punto di riferimento che gli è rimasto. Ma la partenza non viene messa in discussione, per quanto pericolosa e dolorosa è un passaggio necessario per garantire la possibilità di una vita migliore, di un futuro diverso”.

Oltre al premio attribuito a “Il Mondiale in piazza” di Vito Palmieri da una selezione di ospiti di Casa della Carità (che frequentano il servizio docce e che hanno visto i corti in anteprima), la menzione speciale SOUQ Film Festival è andata a “Pizza Boy”, di Gianluca Zonta: “Attraverso la storia di Saba, rider e immigrato, il cortometraggio mostra come sia possibile mantenere un sguardo di speranza nonostante i pregiudizi diffusi nel mondo contemporaneo”.

Ancora una volta, il SOUQ Festival rappresenta per Milano non solo una rassegna di proiezioni a tema sociale e una possibilità di riflessione culturale sull’immigrazione, ma “una occasione di dibattito aperto e approfondimento, che per noi è importantissimo, perché è da questi momenti di condivisione che nascono quelle idee nuove e quelle spinte al cambiamento culturale e Politico – con la P maiuscola – che ci consentono di vivere bene insieme, tutti”, sottolinea il presidente della Fondazione don Virginio Colmegna.

Filippo Nardozza (Sonda.life) – ilmegafono.org