C’è una frase di Voltaire che campeggia sulle vite di molti di noi: poche parole, essenziali, splendidamente mischiate per esprimere un principio fondante di un contesto democratico moderno. C’è un articolo di una delle carte costituzionali migliori al mondo, che sancisce un diritto inalienabile, applicabile ad ogni ambito della vita sociale, non esclusivamente a quello del giornalismo. Più volte ho letto sul web, nei blog, nei profili personali dei social network, citazioni di questa frase illuminata del grande filosofo francese o della prima riga dell’articolo 21. Ogni volta ho provato una bellissima sensazione nel pensare che tanta gente avesse a cuore il principio della libera espressione del pensiero, sottoponibile anche alla critica più feroce ma pur sempre da tutelare e difendere dinnanzi a derive autoritarie e censorie. Ho sempre pensato che la libertà di opinione e di pensiero andasse al di là di tutto, non fosse cedibile a logiche di appartenenza o derogabile a seconda delle simpatie. Un po’ come nel caso della pena di morte: la contrarietà alla condanna a morte è qualcosa che non può conoscere cedimenti, incoerenze o alternanze di valutazioni.

Accade poi, almeno una volta nella vita, che questo principio lo tocchi concretamente, o comunque ne sfiori una sua declinazione, e allora sei chiamato a mettere in pratica ciò che fino a quel momento è rimasto rinchiuso nell’alveo delle concezioni astratte. Per un gioco del destino, succede che una persona che non hai mai apprezzato si trovi, per una sua irrefrenabile vocazione diffamatoria, sotto la forca di quel che si chiama ancora reato d’opinione. Si tratta di un giornalista di quelli che non difenderesti mai, perché non lo stimi, né approvi il modo di operare o le scelte di usare la penna per sputare veleno e fango, al soldo di un editore-padrone, privo di quell’amore per la libertà che dovrebbe essere l’unica linea guida nella vita e nell’attività di un giornalista.

Il caso vuole che Sallusti, direttore de Il Giornale, rischi la galera (condanna confermata a 14 mesi, attualmente sospesa) a causa di un articolo firmato da un suo redattore con uno pseudonimo (ora sappiamo che è Renato Farina, personaggio più che discutibile) e pubblicato nel 2007, quando egli era direttore responsabile di Libero. Non è il primo procedimento per un giornalista spregiudicato, i cui metodi di indagine sono urticanti e difficili da accettare senza sentire la rabbia per un modus operandi che travalica i confini della comune decenza, con irritante sfrontatezza. Sallusti è il direttore di un giornale, sa a quali rischi va incontro e che, per certe scelte, si può incorrere in sanzioni pesanti, sia da parte dell’ordine a cui appartiene sia da parte della magistratura. Fatta questa premessa, però, mi sembra scandaloso e pericoloso che si chieda una condanna a 14 mesi di reclusione per un articolo, anche se diffamatorio.

Come ha ricordato il direttore di Repubblica, Ezio Mauro, peraltro, la sentenza di condanna essenzialmente è stata emessa “per il mancato controllo su un’opinione altrui”. La rettifica ed un’eventuale sanzione pecuniaria, magari l’espulsione dall’ordine dei giornalisti, possono già essere deterrenti sufficienti contro l’uso della stampa a fini diffamatori. Ma la detenzione è uno scandalo. Così come non è accettabile che qualcuno si rallegri di fronte a quello che è un retaggio della cultura fascista, una violazione grave del diritto ad esprimere liberamente le proprie idee. Certo, la diffamazione è un atto aggressivo che lede l’onorabilità di una persona e non un’espressione del pensiero, ma in tal caso basterebbe, come richiesto da più parti, modificare l’articolo 595 del codice penale, nella parte in cui si prevede la pena carceraria.

Se questa vicenda si chiudesse con la carcerazione di un giornalista, ci troveremmo di fronte ad una ferita gravissima di un principio sacrosanto che è di tutti, appartiene a tutti, anche a coloro che riteniamo avversari, rivali o perfino nemici. Non è uno scherzo, non è una questione di divisione  politica, perché la persistenza nel nostro ordinamento di una norma come questa è una minaccia perenne a tutti i cittadini e, in particolare, ai giornalisti. Non solo quelli come Sallusti, ma anche tutti gli altri che, per un’inchiesta, spesso si trovano citati in tribunale per diffamazione, anche quando questa non sussiste. Le querele sono un’arma pericolosa che frena la libertà di informazione, sono una trappola dentro cui ognuno potrebbe finire. Una condanna al carcere costituirebbe un precedente terribile.

Ad ogni modo, tale vicenda fornisce, da un lato, l’occasione per modificare questa parte dell’ordinamento (anche il ministro della Giustizia, Severino, ne è convinta) e, dall’altro, offre qualche spunto di riflessione sulla saldezza e purezza dei nostri ideali e su noi stessi. Ha fatto male vedere il silenzio o addirittura la felicità in alcuni “militanti della democrazia”, perché l’ostentazione di un abbandono di un principio sacro in nome di un’antipatia personale puzza di ipocrisia e di ideologia. Non ci sono scuse per giustificare la svendita di quel garantismo che una volta era patrimonio intoccabile di una cultura ispirata ad una visione democratica e anti-autoritaria della società e del mondo.

Scindere gli ideali a cui si dice di credere dalla peculiare situazione o dal singolo personaggio coinvolto è un gioco squallido che però, forse, permette di comprendere chi finge e chi no, chi ha coscienza e chi l’ha nascosta. Allo stesso modo, la solidarietà di buona parte dei colleghi, anche quelli protagonisti di durissimi scontri con Sallusti, dovrebbe convincere quella parte di giornalisti schierata nella stessa squadra dell’imputato, del quale condividono comportamenti e strategie immorali, che forse è ora di smetterla con il giornalismo delle telefonate rubate, dei finti testimoni, dei Renato Farina, degli Igor Marini e dei dossier inventati. Perché se è sacrosanto chiedere che non vi sia carcere per chi diffama, è altrettanto lecito pretendere che la verità non venga affogata nell’inchiostro avvelenato del calcolo politico.

Massimiliano Perna –ilmegafono.org