Prima di arrivare al perché il 27 luglio 2018 è diventato una data importante per il racconto di questa lunga vicenda, c’è bisogno di fare un passo indietro di qualche anno. Nello specifico, bisogna tornare al 2010. Un anno centrale per me, sul piano del mio lavoro su Cassibile ma anche su quello del rapporto con questa città e alcune sue parti. Prima ancora, devo nuovamente chiedere a chi legge di perdonare l’uso della prima persona, che ricorrerà con più frequenza nelle prossime pagine, in quanto alcune cose che racconterò non saranno legate solo alla mia attività di giornalista. Dal luglio 2018, infatti, la mia posizione sarà anche quella di interlocutore, considerata la conoscenza diretta del fenomeno e la lunga frequentazione dei luoghi dello sfruttamento dei braccianti a Cassibile. Il passo indietro è necessario perché, nel 2010, lo scontro su Cassibile fu feroce. Tante polemiche, una certa attenzione mediatica nazionale, i capipopolo scatenati contro la presenza dei migranti, il pestaggio di un lavoratore straniero, di cui abbiamo parlato nei capitoli precedenti.

Naturalmente, di tutto questo ne scrissi. E pure tanto. Ancora prima, a gennaio di quell’anno, con alcune mie inchieste su Rosarno e sulle rivolte dei braccianti, avevo iniziato a trovare spazio anche su testate e radio nazionali. Naturalmente, quando pochi mesi dopo, iniziò la raccolta a Cassibile, mi occupai anche di quest’area che conoscevo da più tempo, scrivendo con più frequenza per un settimanale locale di inchiesta e per l’inserto regionale di un quotidiano nazionale. Questo maggiore attivismo, chiaramente, non fece piacere a chi, riguardo a Cassibile, voleva il racconto di una sola verità o meglio ancora il silenzio. Ma era prevedibile. Come erano prevedibili le reazioni scomposte. Ciò che non era prevedibile era altro. Vale a dire la reazione negativa e infantile di quella parte della città che sperava di sentirsi risparmiata, perché, almeno sulla carta, schierata a difesa degli stessi valori. Con una sola differenza, che io ero un giornalista e avevo l’obbligo etico e professionale di raccontare la verità su ciò che non andava, e loro erano coloro che, secondo quanto previsto dai loro statuti o dal loro ruolo, avrebbero dovuto fare molto di più davanti a quello che accadeva.

Qualche articolo critico, o comunque contenente anche delle critiche su fatti precisi, e di colpo i saluti e gli inviti si tramutarono in musi lunghi e isolamento. Anche davanti ai rischi che correvo. Quello stesso anno, dopo un emozionante e decisivo incontro con degli studenti all’università di Bologna, durante il quale buttai fuori con fermezza e rabbia tutto quello che potevo raccontare su ciò che accadeva a Siracusa, lasciai la Sicilia. Negli anni successivi ho continuato ugualmente a occuparmi di caporalato, tornando al Sud ogni anno durante la stagione della raccolta per continuare a raccontare una realtà che rimaneva mestamente immutata. Per otto lunghi anni, tuttavia, non ho avuto alcun rapporto con buona parte delle associazioni e le istituzioni della mia città di origine. Ho girato l’Italia e incontrato realtà bellissime, ma a Siracusa sono passato solo per cose organizzate dai pochi amici rimasti. Ecco perché, ai primi di luglio del 2018, ero molto dubbioso rispetto all’invito che il mio amico padre Carlo mi fece di incontrare il Comune di Siracusa, passandomi al telefono l’avvocato Giovanni Randazzo, bravissima persona, appena nominato vicesindaco.

Ero dubbioso sul tornare a interloquire con le istituzioni e le realtà sociali di Siracusa. Non ero molto convinto di riprendere la vecchia proposta sul contrasto al caporalato che Carlo aveva elaborato molti anni prima, ormai quasi 14-15 anni fa, e che la politica e soprattutto il mondo imprenditoriale e sindacale avevano di fatto ignorato, disperdendola nei soliti tavoli della Prefettura, per poi non discioglierla nel nulla. Conoscevo però la fama, la serietà e l’onestà del nuovo vicesindaco, non conoscevo molto invece il Sindaco eletto, Francesco Italia, se non per alcune sue idee e azioni compiute da assessore che non mi erano piaciute affatto, anche se questo non lo consideravo un dettaglio che potesse condizionare la valutazione su una persona. L’idea che Carlo mi presentò era di incontrarci con il primo cittadino, grazie alla mediazione del vicesindaco, e illustrare quella sua proposta che poi, nel corso degli anni, avevamo affinato insieme, integrato e sviluppato sulla soluzione del problema sfruttamento e caporalato a Cassibile.

Un suggerimento, una proposta gratuita, solo per far sapere come, secondo chi il fenomeno del caporalato lo conosceva da dentro, si potesse approntare una soluzione tempestiva, avendo circa 7 mesi di tempo. Alla fine accettai e buttai giù un piccolo ordine del giorno. L’appuntamento era fissato per il 27 luglio 2018, una settimana esatta dopo che sarei rientrato in Sicilia per le ferie, che preannunciavano il mio definitivo ritorno sull’isola, di fatto avvenuto a dicembre dello stesso anno. Il 27 luglio 2018, dunque, fu il giorno dell’incontro. In una sera calda, dentro l’ufficio parrocchiale della chiesa di Bosco Minniti, eravamo in molti. C’era il vicesindaco Randazzo, c’era qualche tecnico, due esponenti di Amnesty International. Si sarebbe parlato di diversi temi, compresi quelli relativi alle condizioni della periferia attorno alla parrocchia. Io però dovevo parlare di Cassibile, esporre la situazione, i problemi e le soluzioni possibili. Partendo dalla tutela dei lavoratori. Il sindaco arrivò con un’ora di ritardo. Non fu un buon inizio, ma riuscimmo lo stesso a trovare il tempo di discutere.

La sintesi di quella discussione era solo una: se si adopera il magico strumento della volontà politica, le risorse necessarie per una accoglienza dignitosa, con la partecipazione gratuita e attiva del volontariato e con l’obbligo delle imprese di collaborare, i costi saranno abbattuti e la soluzione sarà possibile. Ci salutammo, con la promessa di risentirci. Poi più nulla. Fino a fine ottobre, quando dopo anni fui nuovamente invitato come relatore a un incontro sull’immigrazione, a Siracusa, ospite del movimento di sinistra Lealtà e Condivisione, che raccoglieva molte associazioni di area e che aveva partecipato con la propria lista alle elezioni. La lista in quel momento aveva tre rappresentanti in Comune: in Giunta, il vicesindaco di cui sopra, e al Consiglio Comunale, una consigliera di nome Rita Gentile, che non conoscevo, e un consigliere di nome Carlo Gradenigo, che conosco da tempo. Nel corso del mio ultimo intervento feci notare che su Cassibile si era già in drammatico ritardo e mi augurai che l’amministrazione si stesse muovendo in modo deciso, anche sulla base di quella proposta e di quell’incontro.

I due esponenti del movimento mi avvicinarono al termine dell’incontro e spiegandomi che il sindaco stava interloquendo con il prefetto, che c’era un tema di costi e anche di disponibilità della prefettura. Praticamente le solite cose,  rispetto alle quali si tace invece di urlarle costringendo tutte le parti ad assumersi la responsabilità. Ad ogni modo, qualcosa si mosse, anche se in madornale ritardo. A febbraio 2019, quando ormai ero tornato a vivere qui e sulla scorta del risveglio civico suscitato dalla vicenda della Sea Watch, iniziarono i tavoli. I famosi tavoli che avevano l’obiettivo nobile di mettere insieme tutte le realtà interessate a risolvere la questione dello sfruttamento a Cassibile. La proposta era sempre legata all’attuazione del piano presentato da me e padre Carlo al sindaco nel luglio 2018. Il primo tavolo si riunì a metà febbraio, con la partecipazione, oltre a quella di padre Carlo e alla mia, in quanto proponenti, anche dell’assessore alle attività produttive, Fabio Moschella, che per lavoro era molto addentro alla tematica dell’agricoltura (imprenditore agricolo e già presidente CIA Sicilia), dell’assessore alle politiche sociali, Alessandra Furnari, del vicesindaco Randazzo, della consigliera comunale Gentile, della Croce Rossa, della rappresentante dell’Arci Siracusa, Simona Cascio.

Con loro anche le principali organizzazioni di categoria (la CIA su tutte), il CNA e i sindacati confederali, con i segretari di categoria e anche il segretario generale della Cgil, Roberto Alosi. La sede: Cgil di Siracusa. Addirittura in una occasione fu presente anche un esponente nazionale della Flai-Cgil che aveva lavorato a un progetto contro il caporalato. Ne vennero fatti tre di questi tavoli, a distanza di un paio di settimane ciascuno, più almeno altri quattro ristretti. Si svolsero in sedi assessoriali e ancora alla Cgil. Era in questi tavoli che si giocava la partita. Le proposte c’erano, il CNA si era impegnato seriamente a reperire fondi e suggerire strade progettuali, il Comune a trovare strutture e individuare un luogo in cui realizzare un campo protetto, nel quale organizzare con il volontariato attività di assistenza sanitaria, ricreative, culturali, mentre i sindacati avrebbero svolto attività di tutela legale. E così via. Alle organizzazioni di categoria, che raggruppano decine e decine di aziende, era stato chiesto di partecipare economicamente, visto l’interesse primario ad avere lavoratori per la raccolta. Un tot ciascuno, da parte di tutte le aziende associate, avrebbe permesso di coprire alcuni costi o comunque di contribuire (bagni, elettricità, smaltimento reflui, acqua, ecc.). Dopo poco tempo ci venne comunicato che in totale avrebbero raccolto appena 10mila euro.

Tavoli su tavoli, che comunque sembravano rappresentare una base, un tentativo, ma che erano incapaci di vedere davvero cosa accadesse a Cassibile e alla fine si perdevano come sempre sulle chiacchiere, sui problemi, sulla carenza di fondi e sulle solite soluzioni. Fino a quando, cominciò a diventare inconcludente e macchinoso. Soprattutto, accadde che qualcuno pensò bene di informare e prendere in considerazione il parere di un paio di persone di Cassibile, tra cui un capopopolo molto attivo nell’agitare le masse contro i migranti. Fu un punto di rottura, l’inizio di qualcosa che stravolse anche il piano originario, spostandosi verso la consueta soluzione emergenziale, peraltro da rinviare all’anno successivo, visto che la stagione del 2019 era già nel pieno. Soprattutto, tutto il discorso iniziava a vertere solo sull’accoglienza, importante ma non sufficiente, e sulle “esigenze” dei gruppetti di cassibilesi di cui abbiamo ampiamente parlato in precedenza.

Nessun passo avanti, invece, veniva fatto sul piano del contrasto al caporalato, che prevedeva l’istituzione di uno sportello gestito da comune, associazioni e sindacati, una sorta di agenzia di mediazione attraverso cui i migranti potevano iscriversi per dare la propria disponibilità al lavoro, e al quale le aziende erano tenute a rivolgersi per l’assunzione di manodopera. In questo modo, controllando e confrontando i numeri di domanda e offerta, si sarebbe potuta anche facilmente verificare l’incidenza e la persistenza del lavoro nero e del caporalato e identificare le aziende disoneste. Altro punto poco dibattuto era quello dell’organizzazione di navette che potessero sradicare il racket del trasporto da parte dei caporali. Erano argomenti di secondo piano. Soprattutto per chi politicamente continuava a non prendere l’iniziativa. Mancava la voce politica, quella capace di denunciare pubblicamente la resistenza delle aziende, l’immobilismo presunto della prefettura e l’inattività delle forze dell’ordine nel contrasto agli sfruttatori, invitando tutti ad assumersi le proprie responsabilità.

Quella voce avrebbe dovuto alzarla il Sindaco, colui che il 27 luglio 2018, si era assunto un impegno, ma aveva poi delegato senza peraltro mai ascoltare troppo convintamente le proposte che gli giungevano e che avrebbero avuto bisogno di un atteggiamento più energico nei confronti di imprese e prefetto. Nulla, nessuna presa di posizione netta, a differenza di come farà successivamente, con grande celerità, quando si tratterà di far sgomberare le baracche, a fine stagione, davanti alla rabbia artificiale dei capipopolo cassibilesi. Ma non è tutto. Non è solo questo il motivo per il quale quei tavoli lentamente perderanno la loro identità originaria, oltre a diventare sempre meno partecipati, sempre più autoreferenziali. Diventeranno dei cerchi magici. I soliti. Di questo parleremo nel prossimo capitolo.

Ci vediamo martedì 23 febbraio alle ore 18 con l’ottavo capitolo. A presto.

MP