È uscito questa settimana l’ultimo album degli Zen Circus, gruppo che avevamo già introdotto qualche mese fa. La band pisana chiama il nuovo lavoro “Nati per subire”, etichetta e motivo dominante di una generazione intera. Sembra fatto apposta per uscire in questo autunno caldo di rivolte e proteste e che forse ci porterà a un inverno che ci auguriamo di cambiamenti. Nella prima canzone che ci introduce in questa dissertazione su quelli “nati per subire”, non può mancare una descrizione del contesto nel quale ci si trova. E allora via con Il paese che sembra una scarpa, in cui il riferimento a quest’Italietta è più che esplicito.

Soprattutto se poi leggiamo il testo: “Così i giornali scrivono tutti la stessa cosa, il caffè non sa di niente e poi ti comprerò una rosa dal pakistano stanco che disturba questa cena, che ci chiediamo ancora se ne valeva la pena di affidare l’anima ad un castello di carta, da soli nel paese che sembra una scarpa. Come dirlo poi a chi mi ha voluto un po’ di bene che è troppa libertà che mi ha ridotto alle catene?”. Il primo singolo che è uscito è stato L’amorale, un discorso relativista, con il quale il Santo Padre avrebbe qualcosa da ridire. Come se fosse un coro di bambini che si prendono in giro, con la solita irriverenza e crudo realismo gli Zen Circus cantano: “Dio non esiste, lasciatelo dire, è una morale per me, un amorale  non ci pensare e continua a camminare”.

Come se quel camminare alludesse al “non ti curar di loro” virgiliano ma con senso inverso. Non ti curar della realtà, continua a fantasticare, coglione.  La traccia che ci piace di più è Nati per subire. Una descrizione di tutti coloro che non sono padroni della loro vita: “Nato per errore, per una probabilità, nato e cercato con ferma volontà. Nato morto, nato stanco, nato in capo al mondo o al centro dell’universo che si dice è nato tondo. Nato per usare gli altri a proprio piacimento, nato per restare a fissare il pavimento, nato già fregato, amato e poi dimenticato, con la camicia blu ed il colletto inamidato. Sei nato per subire, te lo ricordano i bambini, già stronzi e come te, dei futuri soldatini l’innocenza è dei bambini, la purezza degli dei, ma l’innocenza non esiste e gli dei siamo noi ”.

Nell’ultima frase ci sembra riscoprire una svolta e un invito a prendere per le briglie la nostra vita e rimetterla sulla strada giusta, quella che vogliamo noi. Sembra sia proprio quello che sta succedendo adesso nelle piazze. Ci piace poi sottolineare la grinta di Atto secondo, proseguo immaginario di Andate tutti affanculo e Ragazzo Eroe, storia di qualsiasi gioventù di provincia senza maestri: Tu intanto gioca, sbaglia tutto, raglia contro il muro, giocati il futuro prima ancora che cominci, il belpaese ha bisogno di te “.

Gli Zen Circus mantengono il loro stile concreto e i piedi per terra. Continuano a mostrare il loro lato toscano nel percorrere le nostre vite sul filo di rasoio che separa la beffa e la cruda realtà. Come “Amici miei” di Monicelli, fanno ridere e pensare, con quell’amaro in bocca che ti resta alla fine dell’ascolto. Di loro ci entusiasma il saper restare sé stessi senza cambiare stile ma trovando sempre qualcosa di nuovo da dire, che, di solito, non fa piacere. Non propongono soluzioni, non hanno armi, non hanno dati in mano e certezze in tasca. Sono parte della dialettica che in un Paese serio dovrebbe alimentare i dibattiti. Le soluzioni dovrebbero essere prese in altri palazzi, possibilmente senza distrazioni sessuali. No, anzi, fate pure, tanto siamo nati per subire.

Penna Bianca –ilmegafono.org