Fin dai tempi del Ventennio, i rapporti tra mafia ed estrema destra hanno vissuto epoche in cui si sono alternate conflittualità e collusione. Ancora oggi c’è molta disinformazione sulle politiche del duce in Sicilia in merito al crimine organizzato. È infatti arcinoto come ai suoi grotteschi e anacronistici simpatizzanti odierni piaccia riempirsi la bocca con la fake news che “quando c’era lui la mafia fu sconfitta”, notizia che veniva già millantata dalla propaganda fascista del tempo. Come oggi invece sappiamo, durante il Ventennio a Palermo fu fatta una giustizia molto sommaria e, come ricordò Leonardo Sciascia una trentina di anni fa in uno storico articolo sul Corriere Della Sera, la notizia infondata della sconfitta della mafia fornì ai fascisti veri un vero e proprio scudo sotto il quale operare indisturbatamente.
A distanza di quasi cento anni dal primo governo Mussolini, i rapporti tra associazioni criminali ed esponenti di partiti di estrema destra hanno subito notevoli cambiamenti, ma non sembrano essersi interrotti. Ad esempio ad Ostia, in occasione delle elezioni del 2017, è stata dimostrata una certa simpatia reciproca tra alcuni rappresentati di vertice di Casapound ed esponenti del violento clan Spada. Negli ultimi giorni, però, è emersa una notizia che, se fosse confermata, avrebbe del clamoroso. Secondo quanto emerge da un’inchiesta del settimanale “L’Espresso” parrebbe infatti che Roberto Fiore abbia aiutato in passato un ex boss di camorra a violare il 41 bis. I fatti raccontati dal settimanale fanno riferimento al periodo in cui l’attuale leader di Forza Nuova era parlamentare europeo. Pare che, avvalendosi della sua carica, Fiore si recò con alcuni accompagnatori presso la Casa Circondariale di Viterbo dove era detenuto Antonio Varriale, uno dei capi della camorra.
Nell’incontro tra Fiore e Varriale sarebbe stato presente anche un accompagnatore che fu riconosciuto solo successivamente come il fratello del boss. Questo episodio, se fosse confermato, rappresenterebbe una gravissima violazione dell’articolo 41-bis. Il dispositivo di legge, istituito nel 1975, dopo la strage di Capaci fu allargato nella sua applicazione a chi faceva parte di organizzazioni criminali. Lo scopo di questo accorgimento era quello di limitare al massimo tutti i contatti con l’esterno per evitare che i boss continuassero a svolgere le loro operazioni di comando dal carcere, pratica assai diffusa fino all’inizio degli anni ‘90.
Insomma, se quanto raccontato dall’Espresso trovasse riscontri, saremmo di fronte a una grave violazione del 41 bis, regime che negli ultimi anni si è ammorbidito non poco, evidenziando alcune clamorose falle come quella raccontata. Fanno specie le recenti parole del procuratore di Napoli, Giovanni Melillo, che ha raccontato una realtà sconcertante descrivendo il carcere come un “luogo dove lo Stato esercita un’assai limitata capacità di controllo, dove dominano organizzazioni mafiose, dove entrano quotidianamente i cellulari e non li sequestriamo neanche più tanti sono”. In regime di carcere duro la musica non cambia più di tanto; secondo Melillo infatti “i controlli sono saltuari e non vi è alcuna seria aspettativa dei limiti del 41 bis”. Una denuncia sconcertante che non può rimanere inascoltata.
Vincenzo Verde -ilmegafono.org
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