“Assassinato perché cercava la verità” : così venne intitolata la prima pagina del giornale L′ora di Palermo all′indomani dell′omicidio di Giovanni Spampinato, giovane giornalista siciliano e collaboratore del quotidiano palermitano e de l′Unità, ucciso in un agguato a Ragusa. La triste vicenda del giovane cronista racchiude alcuni degli scenari tipici dell′epoca : l′anno è il 1972 e la famosa “strategia della tensione” si avvia a scatenare dappertutto le molteplici stragi di cui è colma la recente storia italiana. Anche in Sicilia, così come scrisse lo stesso Spampinato, lo spettro della tensione politica e di una guerriglia fra ideologie estremiste sembrava caratterizzare le giornate di quegli anni, a dispetto degli attentati veri e propri che si manifestarono maggiormente nel Nord e Centro Italia. Inoltre, la tensione dei cosiddetti “anni di piombo” sarebbe stata fomentata anche dalla criminalità organizzata, molto vicina ai movimenti di estrema destra. Ed è proprio su questo tragico scenario che Giovanni Spampinato, grazie ad una spiccata scaltrezza ed alla sua eccellente abilità di giornalista d′inchiesta, cercò di far luce.

Fino al giorno del suo omicidio (avvenuto il 27 ottobre del 1972 ), il cronista seguì con grande interesse gli intrecci nascosti tra la mafia ed il neofascismo in Sicilia, specie nell′ambito del contrabbando e di altri traffici illeciti, tra cui quello dell′antiquariato. Fu poi nel febbraio dello stesso anno che un caso molto particolare assecondò maggiormente le sue inchieste: Angelo Tumino, imprenditore ed ingegnere con un passato da consigliere comunale del Msi, venne ucciso da ignoti. Dalle indagini emerse il nome di Roberto Campria, figlio del presidente del Tribunale di allora. Spampinato diede vita ad un′inchiesta attenta e precisa che cercò di svelare gli intrecci loschi che vi erano tra l′assassinato ed il presunto omicida. Purtroppo, però, tanta determinazione e volontà non si rivelarono sufficienti a scoprire quella verità che cercava da tanto tempo e con acuta dedizione. Il 27 ottobre 1972, Giovanni venne freddato da alcuni colpi di pistola mentre si trovava dentro la propria auto. Con lui morì non solo una grande fetta di quello che era (e dovrebbe sempre essere) il giornalismo d′inchiesta in Sicilia (Spampinato ne fu un esempio eccellente), ma pure un′indagine che svelava, di giorno in giorno, dei particolari importantissimi, delle verità sino ad allora taciute o  sconosciute.

Il vero ed unico esecutore dell′omicidio fu il ben noto Campria, il quale si presentò subito dopo alle forze dell′ordine per costituirsi. Secondo il pm Tommaso Auletta, che seguì con attenzione il caso dell′omicidio Tumino e poi dello stesso omicidio Spampinato, Roberto Campria, sebbene non fu il diretto esecutore del primo omicidio, conosceva sicuramente i responsabili e gli esecutori che fecero fuori l′ex consigliere. Inoltre, lo stesso Campria sarebbe stato armato ed istigato ad uccidere Spampinato da ignoti che lo avrebbero spinto a farlo tacere perché troppo pericoloso. In effetti, dopo l′omicidio del giornalista, Campria, forse perché sotto pressione ed impaurito dalla situazione in cui si era cacciato, a colloquio con l′allora maggiore della Guardia di finanza, Carlo Calvano, svelò alcuni particolari interessanti. Innanzitutto, confermò che la trama golpista in Sicilia sarebbe stata finanziata dai traffici illeciti e dal contrabbando. Lo stesso Campria raccontò, inoltre, di aver ricevuto una “mazzetta” da una “persona insospettabile” che gli avrebbe ordinato di corrompere gli agenti della Guardia di finanza per “evitare il pattugliamento nella costa per lo sbarco clandestino di sigarette”.

Infatti, lo stesso affermò che “ a volte il prezzo dei tabacchi di contrabbando veniva pagato mediante la consegna di oggetti d’arte”. Secondo il pm Auletta, l′omicidio Spampinato venne ordinato proprio perché le indagini sul traffico d′antiquariato e sui traffici illeciti di cui si servivano i neofascisti siciliani avrebbero potuto svelare delle verità troppo scomode, tra cui l′attiva partecipazione dello stesso Campria e di Tumino. Spampinato, quindi, pagò a caro prezzo una passione mai spenta, quella intensa voglia di cercare sempre la verità dappertutto, anche a costo della propria vita. L′esempio di Spampinato è esemplare proprio perché rispecchia profondamente l′elevato livello morale e professionale di un giornalista d′inchiesta, che non vuole piegarsi né alle minacce né alle intimidazioni di cui è spesso vittima,cercando di sconfiggere la paura. Oggigiorno, la situazione sembra essere ancor più tragica. Sebbene gli omicidi registrino un netto calo, non altrettanto vale per le intimidazioni: secondo un rapporto di “Ossigeno per l′Informazione”, un osservatorio speciale della FNSI, nel solo 2010 si sono registrati ben 43 episodi di intimidazione, con un aumento del 100% rispetto al triennio 2006-2008.

Peggio va per le minacce collettive, cioè rivolte alle redazioni giornalistiche: nel 2009 si sono registrati 9 casi e 200 giornalisti coinvolti, mentre oggi il numero di minacce è salito a 24 e i giornalisti coinvolti sono almeno il doppio. La situazione per il giornalismo d′inchiesta, dunque, non sembra affatto migliorata. Giovanni Spampinato, così come oggi Lirio Abbate, Pino Maniaci, Dino Paternostro, Aldo Virzì e tanti altri, era il fiore all′occhiello del giornalismo siciliano. Recentemente, Attilio Bolzoni, giornalista di Repubblica, ha affermato: “ È più facile fare il giornalista a Kabul o Baghdad che a Palermo”. Bisogna fare in modo che questa realtà cambi una volta per tutte. Non bisogna lasciare soli i giornalisti veri, quelli che rischiano la propria pelle, quotidianamente, allo scopo di informare la gente e cancellare quanto di falso e distorto vi sia in altre parti del mondo dell′informazione. Questo modo di fare giornalismo deve essere difeso e deve vivere per sempre. In onore di chi ama ed ha amato il dolce gusto della verità.

Giovambattista Dato -ilmegafono.org