28 febbraio 2018, Cisterna di Latina, provincia di Latina: Antonietta Gargiulo, 39 anni, viene quasi uccisa dal marito, il carabiniere Luigi Capasso, 47 anni, padre di due bambine di 7 e 13 anni. Purtroppo però riesce ad uccidere entrambe le figlie. 17 marzo 2018, Canicattini Bagni, provincia di Siracusa. Laura Petrolito, 20 anni, mamma di due bambini piccoli, viene uccisa a coltellate dal compagno Paolo Cugno e gettata in un pozzo. 19 marzo 2018, Terzigno, provincia di Napoli. Immacolata Villani, 31 anni, viene uccisa dal marito Pasquale Vitiello con un colpo di pistola.

Antonietta, Laura e Immacolata sono solo i casi più recenti, ma dall’inizio del 2018 sono morte già 18 donne. In Italia un omicidio su 4 è un caso di femminicidio. Lo scorso anno, infatti, le vittime di femminicidio hanno superato quota 100, seppur in lieve calo rispetto agli anni precedenti. In un caso su due gli assassini sono mariti, compagni o ex. Stando sempre ai dati più recenti, si scopre che una donna viene uccisa ogni 60 ore. I numeri fanno paura, ma le dinamiche di come e perché avvengano gli omicidi sono ancor più spaventose.

La stragrande maggioranza dei delitti, infatti, avviene silenziosamente in contesti familiari, tra le mura di casa e, nel 70% dei casi, dopo ripetute segnalazioni da parte delle vittime alle autorità. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, sono le donne più anziane a correre il rischio maggiore – infatti un terzo delle vittime ha più di 64 anni – e, sempre secondo l’ultimo rapporto Eures, le regioni più interessate sono principalmente quelle del nord: Lombardia,  Veneto ed Emilia Romagna sono ai vertici di questa triste classifica, insieme alla Campania.

Un anno fa circa, anche il Senato della Repubblica ha istituito una Commissione Parlamentare d’inchiesta sul femminicidio, nonché ogni violenza di genere, e dalla sua Relazione finale pubblicata recentemente si evince un quadro ancora più scarso e lacunoso dal punto di vista della prevenzione e delle misure di contrasto attualmente in vigore. Un altro dato importante che questo documento mette in evidenza è che una donna su tre – tra i 16 e i 70 anni – racconta di aver subito una forma di violenza fisica o sessuale e gli autori, nella maggior parte dei casi, sarebbero i rispettivi partner.

Ma anche se oggi nel dibattito pubblico la violenza di genere occupa uno spazio importante, per quel che riguarda i responsabili dei delitti si continua a parlare di raptus di gelosia, possesso, violenze progressive, delitti passionali. Tutta una terminologia che cercherebbe di trovare sempre qualche attenuante o comunque di ridurre la questione in termini che sminuiscono la portata del fenomeno. Ogni volta l’aspetto più sconcertante rimane il fatto che, nella maggior parte dei casi, si tratta di tragedie annunciate: tutti sapevano della situazione di quella famiglia, eppure nulla si poteva fare per impedire di arrivare al punto di non ritorno.

Molte volte quindi denunciare non basta. La vera difficoltà è il percorso di reinserimento delle vittime in un contesto sereno che inanzittutto garantisca una reale messa in sicurezza anche per quel che riguarda i figli, ma allo stesso tempo che dia loro la possibilità di essere indipendenti. E in questo senso molta strada c’è ancora da fare. Concretamente e non con la consueta e inutile indignazione quando ormai la tragedia si è consumata.

AdrenAlina -ilmegafono.org