Anche i rifiuti urbani possono avere una seconda vita ed essere riutilizzati per realizzare qualcosa di nuovo. Per raggiungere questo scopo sarebbero però necessarie delle modalità adeguate che li possano rimettere in circolazione. Si tratta di oltre 600 mila tonnellate annue di beni durevoli in buono stato, che potrebbero essere facilmente venduti. Parliamo di mobili, elettrodomestici, libri, giocattoli e oggettistica, che invece troppo spesso finiscono nella discarica.

A fare il quadro completo della situazione ci ha pensato il Rapporto Nazionale sul Riutilizzo, presentato a Roma e realizzato dal Centro di Ricerca Economica e Sociale “Occhio del Riciclone”, in collaborazione con Utilitalia, la Federazione delle imprese italiane dei servizi idrici, energetici e ambientali. Secondo questo studio andrebbe incentivata la nascita di impianti di “preparazione per il riutilizzo” in grado di funzionare su scala industriale.

Per dar vita a questo meccanismo occorrerebbe un impianto che, tramite un’autorizzazione, possa ricevere i rifiuti provenienti dai centri di raccolta comunali e dalle raccolte domiciliari degli ingombranti, per igienizzarli, controllarli ed eventualmente ripararli e poi reimmetterli in circolazione. Al momento, però, manca un quadro normativo chiaro che favorisca la strutturazione di queste filiere del riuso, così come avviene per tante altre tipologie di rifiuti. L’assenza di decreti ministeriali riguardanti questo tipo di trattamento, inoltre, comporta diversi svantaggi. Se i danni etici e ambientali sono ben visibili, importanti sono anche quelli economici, in quanto vengono spesi 60 milioni di euro l’anno per lo smaltimento, senza considerare il valore potenziale degli oggetti di seconda mano.

«In Italia – spiega Pietro Luppi, Direttore del Centro di Ricerca Occhio del Riciclone – già da tempo si parla di integrare il settore del riutilizzo alle politiche ambientali, e i tempi sembrano maturi perché si arrivi a un punto di svolta a partire dal quale le filiere si articoleranno, struttureranno e regolarizzeranno. Bisogna però insistere sulla professionalizzazione e sulla pianificazione, nella coscienza che il riutilizzo non è un gioco, ma un’enorme opportunità per generare sviluppo locale e risultati ambientali».

Negli ultimi anni sono state messe in campo diverse iniziative lodevoli, come le raccolte dedicate e i centri di riuso interni o al di fuori dei centri di raccolta. In Italia ci sono 9 regioni che hanno incluso nella loro pianificazione ambientale l’avvio di centri di riuso, anche se questi progetti non sono mai partiti. Le aziende di igiene urbana, come spiega Filippo Brandolini, vicepresidente di Utilitalia,  «non si limitano a gestire i rifiuti conferiti dai cittadini ma diventano promotrici di iniziative innovative che, come nel caso del riutilizzo, alimentano filiere ad alto valore aggiunto».

«Per questo – continua Brandolini – dialoghiamo apertamente con le amministrazioni e il mondo dell’usato per cercare insieme modelli, sinergie e forme e di collaborazione che sappiano promuovere un utilizzo efficiente e sostenibile delle risorse ambientali ed umane”.

Non sono mancate le critiche, che fanno pensare ai reati ambientali e all’infiltrazione mafiosa. Le filiere degli indumenti usati sono le più complicate. Solo nel 2016 sono state raccolte 133.300 tonnellate di rifiuti tessili, il 65 per cento dei quali è stato riutilizzato, ma si potrebbe anche ricavare di più se vi fosse maggiore trasparenza nelle filiere. Gli operatori sani del settore, infatti, hanno chiesto strumenti di controllo più rigidi.

“Chi dona abiti usati consegnandoli nei contenitori stradali lo fa con intenzioni solidali nell’84 per cento dei casi – dichiara Alessandro Strada di Humana People to People Italia -, e ciò dimostra come il cittadino chieda che le considerazioni di carattere sociale trovino spazio all’interno degli affidamenti del servizio di raccolta differenziata e recupero della frazione tessile”. Il riuso degli abiti usati potrebbe essere l’inizio di nuove filiere del riutilizzo.

Veronica Nicotra -ilmegafono.org