Qualche giorno fa, a Roma, è stato presentato il Rapporto 2017 realizzato da Confesercenti e Sos Impresa – Rete per la Legalità sui temi dell’usura in Italia e delle infiltrazioni mafiose. Un problema notevole e in forte espansione, questo, che preoccupa non poco le associazioni antiracket e imprenditoriali, dato che sono proprio i commercianti le vittime a maggior rischio e decisamente quelle più colpite da questa odiosa pratica. Secondo il rapporto, infatti, dal 2011 al 2016 i casi di usura si sono moltiplicati e hanno portato nelle casse degli strozzini da 20 a 24 miliardi di euro l’anno, ovvero ben 2 milioni di euro ogni giorno.

La motivazione, è chiaro, non può che essere la crisi che da ormai troppi anni attanaglia l’economia europea (e soprattutto quella italiana): i commercianti si ritrovano a dover chiedere aiuto a gente poco raccomandabile, anche se ciò alla fine significa chiudere la propria impresa, la propria attività e soprattutto svendere la propria dignità (cosa ben più grave). Un altro dato che fa riflettere, a tal proposito, è proprio la quantità di denaro chiesto dai commercianti agli usurai: se nel 2011 la somma si aggirava sulle 90 mila euro, nel 2016 si è passati a ben 125 mila euro; denaro, questo, che viene spesso restituito ad interessi spropositati, insostenibili, che portano, quindi, all’abbandono di tutto quel che si possiede.

Ma se l’usura è sempre esistita e se anche negli anni più floridi c’era chi si affidava allo strozzino di quartiere, adesso la situazione si è trasformata in qualcosa di decisamente peggiore ed allarmante: la mafia, che si è mantenuta mediamente alla larga dall’usura, sembra aver cambiato idea, dato che, da quanto emerso nel Rapporto, più del 40% degli strozzini avrebbe avuto rapporti proprio con la criminalità organizzata nel 2016 (era il 20% solo nel 2008). Ciò significa che se un tempo l’usuraio poteva essere il vicino di casa, un cliente o semplicemente una persona che condivideva la stessa area, la stessa zona di un commerciante, col passare degli anni e con il peggiorare della crisi, anche la presenza della criminalità organizzata nel ramo dell’usura si è intensificata.

I motivi sono diversi. Innanzitutto, in questo modo diventa molto più facile e meno rischioso impossessarsi di una azienda (possibilmente concorrente di quelle in odor di mafia): se il pizzo, infatti, pur rimanendo ancora un’azione ampiamente praticata, viene pagato dai commercianti o dagli imprenditori che spesso preferiscono vivere in tranquillità e che quindi si accollano di pagare una “tassa” mensile, l’usura permette alle organizzazioni mafiose di infiltrarsi direttamente nell’economia sana, riuscendo così a fare affari ed a proliferare in maniera lecita e quasi mai sospetta, rendendo complicato ogni tentativo di controllo e prevenzione da parte delle forze dell’ordine e delle associazioni antiracket (come invece avviene con più frequenza nel caso delle estorsioni).

Un altro motivo, invece, consiste proprio nella quantità di denaro che viene “mossa” in casi del genere: se fino a qualche tempo fa, come detto, le richieste non superavano certe cifre, adesso si è arrivati a delle somme che uno strozzino qualsiasi non potrebbe garantire; è proprio qui, dunque, che entra in gioco il boss di turno, capace di gestire cifre enormi e di spostarle nel giro di qualche ora.

Tutto ciò è ben spiegato all’interno del Rapporto 2017: «la recessione non ha solo fatto lievitare il giro d’affari dell’usura» ma «ha anche cambiato il mercato ed i suoi protagonisti. Tramontato definitivamente (o quasi) lo squalo di quartiere, il mercato dell’usura è infatti sempre più in mano a gruppi organizzati, apertamente criminali e spesso dall’apparenza professionale». In questo modo, cadere nella trappola diventa estremamente facile, soprattutto se a peggiorare la situazione vi sono fattori come una eccessiva “rigidità del fisco” e “degli interessi di mora esagerati” che fanno involontariamente da spalla all’usura. Per non parlare della “scarsa punibilità del reato”, un fattore, questo, che non deve passare inosservato, soprattutto se si pensa che al 2016 sono ben 200 mila le imprese vittime degli strozzini.

Insomma, la situazione è decisamente grave e pensare che una fetta importante dell’economia italiana rischi di sfaldarsi in mille pezzi a causa di un fenomeno tanto spregevole, non può che fare rabbia e lasciare l’amaro in bocca. Come ha affermato la presidentessa nazionale di Confesercenti, Patrizia De Luise, «l’usura è il più vile dei reati perché aggredisce chi è debole, chi si trova in difficoltà, chi è disperato. Entra nelle famiglie e le distrugge. Entra nelle imprese, se ne impossessa». Imprese che «cadono nel vortice dell’usura per rispondere ad emergenze impellenti e spesso improvvise», tra cui «chiusura di disponibilità bancarie, cartelle esattoriali» o addirittura «per pagare i dipendenti».

D’altro canto, un ultimo dato su cui varrebbe la pena porre l’attenzione è il calo drastico di denunce dal 1996 ad oggi: dalle 1436 di vent’anni fa, infatti, si è passati al poco consolante numero di 408 dello scorso anno, a dimostrazione che lo Stato non fa abbastanza per combattere l’usura e tutelare le vittime, ma anche che nel nostro Paese ci sia sempre meno disponibilità a denunciare, anche quando tutte le condizioni lo consentono.

Oggi, pertanto, uno sforzo decisamente maggiore diventa indispensabile sia dall’uno che dall’altro lato: da una parte, infatti, ci si aspetta soprattutto che le attività di prevenzione siano più efficaci e che le pene diventino certe e pesanti; dall’altro, c’è bisogno che chi subisce cominci a trovare anche un po’ il coraggio di fidarsi delle forze dell’ordine e delle associazioni che creano le condizioni migliori per denunciare.

Giovanni Dato -ilmegafono.org