Anche questa settimana continuiamo a occuparci di monumenti chiusi e in stato di abbandono. Oggi vi parlo dell’Ospedale delle cinque piaghe, un edificio neogotico ottocentesco che sorge sulla celebre piazzetta San Rocco, nell’isola di Ortigia, centro storico di Siracusa. Non passa fine settimana che i siracusani non si trovino a passeggiare tra i vicoli di Ortigia e a prendere una bibita o un panino proprio in questa piazzetta. Da quando ho memoria, ho sempre visto la piazza gremita di gente circondata da muri e da architetture silenziose, come quelle di questo edificio. Nessuno ha mai visto al di là di quel portone. Nessuno, a parte pochi fortunati.

E pensare che questa piazza fu realizzata per dare maggior respiro all’ospedale, amputando letteralmente l’isolato che sorge alle spalle della chiesa di Santa Lucia alla Badia. Prima di questo sventramento ottocentesco, la via Picherali e via delle Vergini erano collegate dallo stretto vicolo Bione. La facciata dell’ospedale fu realizzata da Alberto Broggi e Domenico Pistone. Loro stessi espressero la necessità di dare maggior respiro all’edificio e decisero di realizzare una nuova piazza.

Siamo nello stesso periodo in cui vengono abbattute le fortificazioni di Ortigia per questioni di salubrità e, nel contempo, vengono realizzate anche piazza Archimede e il rettifilo. Ortigia aveva poche e piccole piazzette, oltre a piazza Duomo, e i suoi vicoli necessitavano di maggior respiro e di infrastrutture di base. Non mi stupisce che si iniziasse allargando lo spazio nei pressi dell’ospedale. Per raccontarvi com’era questo edificio quando era ancora fruibile, abbiamo interpellato il prof. Paolo Giansiracusa, che spesso ci dà il suo contributo prezioso nell’approfondimento dei temi trattati in questa rubrica e che tanto sta facendo per sensibilizzare sull’argomento beni culturali come bene comune.

Professore, ci racconta l’origine di questo Ospedale delle cinque piaghe?

Dopo i lazzaretti e gli spalti soleggiati dei conventi, i primi veri ospedali di Siracusa sorsero nell’Ottocento per i civili e per i militari. Le Suore della Carità si occuparono dell’Ospedale di Santa Teresa fino al 1876, allorquando furono trasferite nel Conservatorio delle Cinque Piaghe, divenuto intanto Ospedale Civile della città. Alle Cinque Piaghe confluirono anche gli addetti ospedalieri del vicino Convento di San Giovanni di Dio, demolito per far posto al Museo Nazionale Archeologico.

Quali erano le caratteristiche e le funzioni specifiche di questa struttura?

L’ospedale, progettato secondo le caratteristiche dello stile neogotico in voga nella seconda metà dell’Ottocento, ebbe la funzione di raccogliere in maniera organica tutti coloro che, per professione o volontariato, si occupavano della sanità. L’edificio, progettato da Alberto Broggi e Domenico Pistone, tra l’Hosterio Magno e le chiese di San Rocco e Montevergine, fu ispirato alle moderne strutturazioni ospedaliere ed ebbe la caratteristica fondamentale di catturare luce per rendere soleggiati e igienici tutti i locali. Le ampie aperture e i grandi ambienti delle corsie ottocentesche documentano, ancora oggi, come l’aspetto eliotermico fosse tenuto in maggiore considerazione. Per il prospetto, la presenza nella piazzetta della medievale Casa Migliaccio suggerì l’imitazione dell’architettura gotico-chiaramontana della città. La scelta cadde su Palazzo Montalto da cui il nuovo edificio trasse notevoli spunti: nelle bifore, nella cornice marcapiano, nel portale d’ingresso, nel paramento a conci squadrati, nei fregi a zig-zag.

Fino a quando esso è stato in funzione?

Negli anni cinquanta del Novecento, questo ospedale si rivelò insufficiente alle crescenti esigenze del territorio e si avviò la progettazione e la realizzazione di un nuovo ospedale extra moenia, ossia l’attuale Umberto I. Da allora l’antico Ospedale Civile fu abbandonato e destinato ad un inesorabile decadimento strutturale.

Non si è mai fatto nulla per tutelarlo e conservarne la memoria?

Nel tempo le proposte di riuso non sono mancate, così come non sono mancati i progetti di ristrutturazione. Persino scavi archeologici sono stati eseguiti nell’attesa che i restauri partissero. E invece nulla di nulla. Siamo fermi allo stesso punto di sempre e l’azienda proprietaria, l’ASL di Siracusa, non ha in programma alcun intervento. Lo stesso dicasi per la Regione e il Comune che non hanno mai avanzato proposte concrete. Eppure l’edificio è tra i più importanti della città storica ed ha una superficie che potrebbe accogliere musei, laboratori di restauro, ambienti congressuali, aule di studio e di ricerca.

Cosa, secondo Lei, si dovrebbe fare oggi?

Un’idea potrebbe essere il tanto auspicato Museo del Mediterraneo. Un museo che possa raccontare i passaggi storici di Siracusa e della Sicilia attraverso il rapporto con il mare. Una città nata sull’acqua e per l’acqua deve necessariamente raccontarsi in un museo, con i suoi miti e le sue leggende, con i suoi reperti e le cartografie pertinenti. Non è da escludere la presenza di un grande laboratorio per il restauro dei reperti marini connesso alla Soprintendenza del Mare e all’Area Marina Protetta.

Un’idea molto valida. Ci sono anche altre proposte?

Un’altra ipotesi sarebbe quella di creare un grande centro congressuale per i popoli del Mediterraneo. Una sorta di casa di tutte le anime del Mare Nostrum. La Sicilia, baricentro di tutte le rotte, nell’antichità come nel tempo presente, deve documentare il suo passato legato al viaggio. Il manufatto architettonico, per l’ampiezza e la luminosità dei locali, si presta all’uso museale al quale potrebbe essere adattato senza grande impegno economico, escludendo, s’intende, le considerevoli spese di restauro e manutenzione.

Ringraziamo, come sempre, il prof. Giansiracusa per la sua disponibilità e il suo contributo.

Angelo De Grande -ilmegafono.org