In Italia la legge che tutela le mamme lavoratrici con contratto è molto più avanzata di quello che potrebbe sembrare. Le agevolazioni riguardano soprattutto le mamme con contratto, ma anche le donne con impieghi precari possono rivendicarne alcune. Il congedo di maternità per le lavoratrici italiane è obbligatorio per 5 mesi, eventualmente estendibili fino a 11 ma con una significativa riduzione della busta paga. Fino a un anno di vita del bambino si ha poi la possibilità di lavorare due ore in meno al giorno (c.d. “allattamento”) a stipendio invariato. Ci sono poi i bonus bebé, gli assegni familiari (che variano in base al reddito) e i voucher, introdotti dal governo Renzi per pagare una babysitter più o meno fino ad un anno di vita del bambino. Il bonus bebé (80 euro al mese) e gli assegni familiari sono agevolazioni destinate a famiglie a basso reddito, mentre i voucher sono accessibili a tutti, a patto ovviamente, che la mamma in questione torni al lavoro.

Tuttavia, parlando con altre mamme nella mia stessa condizione di genitore/lavoratore e vivendo questa esperienza sulla mia pelle, adesso che mio figlio ha 16 mesi, ho iniziato a capire che il primo anno di vita del bimbo è stato il più bello e soprattutto il più semplice. È con la ripresa dell’orario a tempo pieno (fine dell’allattamento), l’inizio del nido (necessario se entrambi i genitori lavorano), la necessità di incastrare le esigenze familiari e l’assenza di nonni su cui fare affidamento costante, che sono iniziati infatti lo stress, i sensi di colpa e le vere difficoltà. Al di là dei vari malanni che nei primi mesi di asilo nido arrivano a casa e colpiscono, a volte con violenza, figli e genitori, le difficoltà derivanti dall’esigenza di combinare casa e lavoro sono imprescindibili e costanti.

Basti pensare ai momenti in cui il lavoro richiede di rispettare delle scadenze tassative: devi riuscire ad organizzarti bene per poterle rispettare e non puoi permetterti di rimanere più tempo in ufficio – neppure dieci minuti – perché nessuno potrà andare a prendere il tuo bimbo al nido. Per non parlare poi dei sensi di colpa. Sto trascurando mio figlio? Avrò fatto bene a mandarlo al nido? Potevo rinunciare a una parte di stipendio e chiedere il part-time? Dovrei impormi al lavoro e far capire che non posso garantire la mia presenza al 100 per cento come prima? Devo chiederlo come diritto o sperare che mi venga concesso?

Sono sicura che migliaia di mamme in Italia si pongono queste domande ogni giorno e molte non sanno quale possa essere la risposta giusta. Le più coraggiose e informate rivendicano i loro diritti, anche nel timore di perdere il posto o la propria posizione all’interno dell’azienda o dell’ufficio in cui lavorano. Chi invece non può permettersi di perdere il lavoro o non ha la forza di affrontare uno scontro con colleghi e/o datori di lavoro, cerca di arrangiarsi, organizzandosi come meglio può, con l’aiuto dei nonni se ci sono e degli amici, a volte addirittura dei vicini di casa, oppure, per chi ne ha la possibilità, di babysitter.

Quando poi il bambino cresce e dal nido passa alla scuola materna e alle elementari, le esigenze familiari aumentano: tuo figlio, per la sua salute psicofisica, avrà bisogno di fare sport o altre attività e allora dovrai cercare di incastrare i suoi orari con i tuoi, i quali invece tendono a rimanere sempre gli stessi. E potrà capitare di scontrarti con colleghi più giovani o senza figli, pronti a lavorare anche undici ore al giorno pur di fare “carriera” o di mantenere la propria posizione. Dovrai magari “competere” con altre donne, anche con figli, ma con possibilità economiche maggiori delle tue o una rete familiare più ampia su cui contare. I loro sguardi sono spesso un libro aperto: “i figli li abbiamo avuti tutti, se ti organizzi ce la fai” sembrano dirti.

E invece in Italia come in molti altri paesi del mondo ci sono donne che, nonostante gli sforzi, non riescono affatto a conciliare il lavoro con la famiglia. Ci sono donne con figli che sono costrette a rinunciare al lavoro, quando possono, o che comunque non possono aspirare a una benché minima carriera perché, se già è difficile per una donna single arrivare a posizioni apicali, figurarsi per una mamma. Ci sono studi che dimostrano come le mamme lavoratrici siano più efficienti, più produttive e meglio in grado di organizzarsi sul posto di lavoro dei loro colleghi maschi o senza figli. Sia durante la gravidanza che dopo, una donna ha modo di mettersi costantemente alla prova con tante di quelle competenze che neanche un costosissimo corso di formazione per top manager è in grado di insegnare.

Non sono luoghi comuni e ci sono aziende in cui queste competenze vengono riconosciute e valorizzate. Orari flessibili e possibilità di scegliere il telelavoro, stanze e servizi di appoggio per l’allattamento, agevolazioni per garantire assistenza al bambino quando si ammala, vaccinazioni direttamente in ufficio, programmi per tornare in forma psicofisica dopo il parto, nutrizionista, servizio mensa con la possibilità di portare a casa i pasti pronti, servizio lavanderia e addirittura parrucchiere. Questi sono molti degli esempi che le lavoratrici americane trovano nelle “100 best companies” amiche delle mamme, il cui elenco viene stilato annualmente dalla rivista Usa “Working Mother”.

Perché non iniziare a farlo anche qui? Certo molte di queste agevolazioni sono costose e non sempre praticabili, ma almeno iniziamo a rifletterci. I bonus bebè vanno bene, anche i voucher babysitter, ma non sono affatto sufficienti, anche perché i primi ad oggi coprono inspiegabilmente soltanto i primi tre anni di vita del bambino laddove in moltissimi Paesi europei arrivano molto più in là. Servono piuttosto orari flessibili, il telelavoro, l’assistenza medica sul posto di lavoro e soprattutto il riconoscimento del fatto che quello di genitore è un ruolo importante, imprescindibile e da valorizzare, con tutti i mezzi e le risorse possibili.

G.L- ilmegafono.org