È stato scritto tante volte, anche su queste pagine, che quello dell’antimafia è un mondo complesso, fatto di equilibri sottilissimi che si spezzano in un attimo e si mutano in conflitti molto aspri che trovano spazio nell’opinione pubblica. Conflitti che amareggiano, perché coinvolgono personalità stimate e scavano divisioni insensate dentro un mondo che, al contrario, dovrebbe essere compatto, avere bene in vista l’obiettivo (e il nemico) comune e, forse, trovare maggiori spazi di confronto interni, al netto di antipatie, gelosie, protagonismi, narcisismi vari. Avvicinarsi a questo mondo complesso, da attivisti, così come da volontari o giornalisti, significa entrare dentro una casa accogliente, piena di entusiasmo e di gente entusiasta, ma nel tempo, molto spesso, si finisce per provare dolori di stomaco, senso di nausea, frustrazione.

Al punto che, se non ci si schiera acriticamente con questo o con quello, si preferisce starsene fuori, in disparte. In questi giorni, si assiste inermi a un nuovo dibattito interno all’antimafia, anzi a qualcosa in più, qualcosa che oltrepassa la schermaglia tra personalità o associazioni. L’ultima ferita è l’allontanamento di Franco La Torre dall’associazione Libera e dalla cura del premio dedicato al padre Pio La Torre. Una decisione che sarebbe stata presa direttamente da Don Ciotti. La Torre sarebbe colpevole di aver espresso critiche all’operato di Libera, soprattutto di averne contestato superficialità e distrazione rispetto a ciò che accadeva a Roma (e che l’inchiesta Mafia Capitale ha scoperchiato) e a Palermo (con la vicenda dei beni confiscati e del magistrato Silvana Saguto, oltre allo scandalo Helg).

Critiche che, a quanto pare, non sarebbero piaciute a don Ciotti, secondo il quale sarebbe venuto meno il rapporto di fiducia. Una storia triste perché contrappone due personaggi simbolo del movimento, che oggi appaiono distanti e in opposizione. La Torre, per la verità, è stato onesto, non mettendo in discussione il valore né di Libera né di Ciotti, ma semplicemente contestandone alcune modalità di gestione, l’autoritarismo, lo sviluppo verticistico dell’associazione, con decisioni prese dall’alto senza un confronto interno democratico. A dire il vero, sono accuse già sentite in passato e non mettono ovviamente in discussione l’impegno di Libera e il suo ruolo importantissimo soprattutto sui beni confiscati e nell’educazione alla legalità, ma certo chiamano in causa un modello organizzativo e la necessità, come ha detto La Torre, di fare un salto di qualità, maturare cioè una visione complessiva che permetta di intravvedere in anticipo situazioni gravi come quelle già citate di Roma e Palermo.

Questa vicenda si inscrive nel clima di questo periodo, nel quale si avverte uno strano interesse a misurare e controllare l’antimafia, molto più che la mafia. Pietro Grasso, presidente del Senato, ha chiesto un’antimafia nuova, unita, umile, che “sappia guardare al proprio interno e abbandoni sensazionalismo, protagonismo, pretesa primazia di ogni attore, corsa al finanziamento pubblico e privato”. Parole dure e senza un riferimento preciso a fatti o persone, ma in linea con quanto la Commissione parlamentare antimafia ha deciso di fare ultimamente, iniziando una serie di audizioni di studiosi, giornalisti, magistrati, imprenditori, associazioni per poter verificare e combattere chi ha usato e usa il tema della lotta alla mafia per propri scopi di carriera e assolutamente personalistici, lontanissimi dalla volontà di combattere la criminalità.

Una vera e propria indagine antimafia sull’antimafia, dunque, una sfida che potrebbe essere interessante ma che presenta non poche perplessità. A partire dal fatto che la Commissione dovrebbe prima chiarire chi è in grado, anche al suo interno, di arrogarsi il diritto di sentirsi esponente più serio e credibile rispetto ad altri, al punto da giudicare gli altri. E poi spiegare quale sarebbe il criterio con cui si è stabilito chi sono i testimoni autorevoli da ascoltare. Ad esempio, la prima audizione sarà quella dello storico Salvatore Lupo, la cui competenza in materia non è messa in discussione, ma che su certi temi ha espresso tesi e visioni da più parti considerate abbastanza discutibili.

Come farà, allora, la Commissione a essere sicura che le persone convocate in audizione siano affidabili, scevre da antipatie personali, giudizi estremamente soggettivi o pregiudizi? Non è che qualcuno si lascerà prendere la mano per togliersi qualche sassolino dalla scarpa e punire qualche altro con cui si è polemizzato in passato? Soprattutto, al di là della legittima caccia agli imbroglioni, ai falsi, ai furbetti all’interno del movimento, forse sarebbe meglio concentrare di più gli sforzi e le energie sul contrasto al crimine organizzato, magari facendo da pungolo a un esecutivo e a un premier che sul tema latitano e, anzi, compiono azioni spesso opposte dal punto di vista delle attività e degli strumenti normativi. Di sicuro, qualcosa sta accadendo e le conseguenze potrebbero essere molto più nefaste di quanto non si immagini, finendo paradossalmente per fare un favore a chi, da un regolamento di conti nel movimento antimafia, ha solo da guadagnarci. E anche molto.

Massimiliano Perna –ilmegafono.org