Una sentenza dallo straordinario valore simbolico e legale quella emessa lunedì scorso dal Tribunale di Torino contro gli ex proprietari della fabbrica Eternit di Casale Monferrato. Il miliardario svizzero Stephan Schmidheiny, 65 anni, e il barone belga Jean Louis Marie Ghislain di Cartier di Marchienne, 91, sono stati condannati, in primo grado, per “disastro ambientale doloso” e “missione dolosa di misure antinfortunistiche”, a 16 anni di reclusione. L’accusa, in tutto seimila persone costituitesi parte civile, chiedeva 20 anni, ma è bastata la parola “colpevole” pronunciata dal Presidente del Tribunale, Giuseppe Casalbore, a far risuonare un grande applauso nell’aula, dove erano presenti i familiari di migliaia di vittime dell’amianto. Tra le persone che verranno risarcite c’è anche Carlo Liedholm, produttore di vino nel Monferrato, che quattro anni fa ha perso la moglie per colpa del mesotelioma pleurico.
“Mia moglie è morta nel gennaio 2007 – aveva raccontato Carlo Liedholm prima del processo -. Aveva 47 anni. Le hanno prima rimosso un polmone, ma non c’era nulla da fare. In 18 mesi se n’è andata”. Ora la sua famiglia avrà diritto ad almeno trentamila euro. Non tutti i malati e i familiari delle vittime sono stati risarciti; almeno 1.700 persone sono rimaste fuori e molti indennizzi appaiono irrisori. Alcune decine sono state escluse, paradossalmente, per un mero errore di stampa nel passaggio dal file all’elenco scritto letto in aula, e dovranno ricorrere in appello, tutti gli altri, invece, perché i reati contestati sono andati in prescrizione. Ma, come ha sottolineato il ministro della Salute, Renato Balduzzi, in un intervento a “Radio Anch’io”su Radio 1, non ci possono essere “vittime di Serie A e di Serie B”.
Per Balduzzi, “la battaglia contro l’amianto continua e tappa per tappa si tratta di andare a fare giustizia e rimediare ai guasti”. Gli esclusi dal risarcimento sono i familiari dei morti di Bagnoli (Provincia di Napoli) e Rubiera (Provincia di Reggio Emilia). Nello stabilimento napoletano dell’Eternit gli operai colpiti da patologie sono almeno 573 e oltre 400 hanno perso la vita. Gli errori, le omissioni e le vere e proprie “ingiustizie” per i morti “prescritti” non cancellano tuttavia l’importanza della sentenza di Torino, che deve essere un punto di partenza per combattere la piaga dell’amianto.
L’Eternit è presente in Italia in innumerevoli applicazioni industriali ed edilizie. Fino agli anni Ottanta del secolo scorso è stato usato per la coibentazione di edifici, tetti, navi e treni, come materiale per l’edilizia, nonché per la fabbricazione di corde, plastica e cartoni. In Italia solo dal 1992 esiste una procedura precisa, prevista dalla legge n.257 dello stesso anno, per smantellare le strutture ritenute “pericolose”, previo controllo delle autorità sanitarie. Tuttavia, secondo Legambiente, ci sono ancora 32 milioni di tonnellate di materiale contaminato sparsi per il Paese. “Tutto questo ha un pesante impatto sanitario sulla popolazione – scrive Legambiente – ogni anno in Italia si registrano tra le 2.000 e le 4.000 morti a causa della sua esposizione professionale, ambientale e domestica”.
Eliminare l’amianto però è possibile e soprattutto è obbligatorio quando è in cattivo stato e le fibre disperse sono in quantità superiore alla soglia prevista dalla legge. Come sottolinea Legambiente, non bisogna mai trattarlo autonomamente e oltre alla rimozione si possono applicare anche altre tecniche di trattamento: incapsulamento mediante materiali appositi o sconfinamento mediante una barriera fisica che ne blocca la dispersione. Insomma, i metodi per combattere la “fibra killer” e prevenire altri decessi esistono e sono contemplati anche dalla legge. Le seimila persone che hanno portato i due miliardari dell’amianto sul banco degli imputati lo sanno bene e ci auguriamo che per tutti possa essere fatta “giustizia”.
G. L. -ilmegafono.org
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