Anno nuovo, nuovo album. Nel 2011 è uscito “Ricoveri virtuali e sexy solitudini”. Già dal titolo si intuisce che dietro c’è il genio dei Marlene Kuntz, sceso ancora tra i comuni mortali per regalarci l’ultimo loro album. Un album che sradica molti cliché, nel come nasce e nei testi. Primo fra tutti quello che li voleva spacciati dopo un best of, come spesso capita agli artisti. In effetti i Marlene avevano pubblicato recentemente una raccolta dei loro migliori pezzi, ma adesso ci sconvolgono, o meglio si confermano sulla loro strada con questo nuovo album. Nonostante le perplessità di critica e fan, la band cuneese si mantiene secondo noi ai posti più alti nella classifica delle migliori band italiane. E non è colpa del nostro essere fan dei Marlene quanto piuttosto dei testi di Godano e delle sonorità mature, affilate dai grandi musicisti del gruppo. Il primo singolo è Paolo anima salva, nei suoi 6 minuti già un capolavoro, a partire dal video.
Davanti alla telecamera ferma passano vari personaggi: un militare, una ballerina, due bambini, e tra gli altri lo stesso Godano. Il significato si evince dal testo. Paolo, l’anima salva, si convince che ci siano delle anime “simili perché sensibili”, diverse dal vuoto che lo circonda. Un vuoto fatto appunto dalla distesa di alberi morti che si vedono nello schermo, un vuoto fatto anche di staticità di fronte ad un computer, la cifra della società contemporanea. La telecamera è fissa, non si muove come nella maggior parte dei video musicali. Ferma come ciascuno di noi. E Godano? Il suo abito ricorda quello di una guida, di un esperto che sa insegnarti la via. Ancora una volta cela dietro i suoi testi una forte denuncia sociale.
In questo caso se la prende col disagio causato dall’ipocrisia, dalla superficialità, dalla nullità del nostro essere, della nostra società, che fa sentire soli, unici coloro che,come Paolo, vanno più a fondo. Lo conferma in un’altra traccia, Pornorima, dove canta “che pensino a scopare i farisei dell’indie-rock, le anti-sbrodoline snob, gli alternativi a pacchi e stock. Facciamogli capire, dai!, Che siamo qui a godere”. Ecco che, come ci sembrava sottolineare anche nel loro primo album (“Catartica”), emerge un’idea nitzschiana della vita, che ne esalti lo spirito bestiale-erotico-dionisiaco, non fosse altro che per umiliare, sconfessare i finti “indipendenti”. Non ci va certo leggero Godano. Come cifra del suo stile si riconosce anche l’utilizzo di termini desueti. Bieco intellettualismo? Egli rifiuta questa definizione.
Ritiene piuttosto che l’ascoltatore medio debba essere invece in grado di leggere-capire anche quei termini che meno spesso si usano nelle canzoni, ma che possono risultare utili nella metrica complessiva del testo. In questo sembra riecheggiare i colleghi di XL che invitavano gli artisti a creare opere complesse che spingessero il pubblico, i loro interlocutori a riflettere. Quale miglior modo che andare sul vocabolario e aggiornare o per lo meno togliere un po’ di ruggine al nostro lessico? Il suono subisce una sterzata calorosa, merito della collaborazione, sin dalla prima stesura dell’album, di un quinto musicista che ha contribuito ad aggiungere al solito trio basso-chitarra-batteria, un’altra serie di sonorità che, a parer nostro, giovano all’economia complessiva dell’album. E dire che li davano per finiti…
Penna Bianca –ilmegafono.org
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