La libertà di parola è un principio fondamentale per ogni democrazia e, come tale, non deve mai mancare in uno Stato costituito su fondamenta democratiche. Non solo: tale principio deve essere pienamente rispettato e “compiuto”, nel senso che tutti i cittadini in grado di prender parola pubblicamente devono poter affermare la propria opinione (sempre nel rispetto dei limiti ), giudicare i fatti ed analizzarli nella totale ed assoluta tranquillità. Tutto ciò è ampiamente risaputo, eppure esistono ancora molti Paesi in cui questo stesso diritto stenta ad affermarsi, ritrovando spesso degli ostacoli insormontabili in chi governa e nel mondo politico generale. Tralasciando i casi e gli Stati in cui la censura e la “non-libertà” raggiungono livelli impressionanti, il nostro Paese, pur appartenendo ad una posizione geopolitica di tutto rispetto, si classifica in una posizione piuttosto allarmante per quanto riguarda l’affermazione di tale diritto e, quindi, della libertà di parola.

I casi che lo dimostrano sono tanti: i cronisti di mafia, ad esempio, fanno parte di una porzione di popolazione che vive costantemente sotto la pressione dei propri aguzzini e il conseguente rischio di essere uccisi, per il solo fatto di aver compiuto il proprio dovere, che è poi quello di raccontare, narrare ciò che accade intorno a noi (e che spesso non vediamo o non vogliamo vedere). Tutto ciò è incredibile, specie in un Paese come il nostro. Eppure rappresenta una regolare quotidianità, soprattutto al Sud. È proprio per questo che Roberto Saviano, il noto giornalista ed autore del libro Gomorra, ha deciso di scendere in campo porgendo al suo pubblico (e non solo) parole taglienti, narrazioni di fatti e realtà che inorridiscono le menti, cose di cui si stenta a credere. È proprio per sconfiggere tutto ciò che Saviano ha deciso di “barattare” la propria vita con la possibilità di sentirsi “libero dentro”, di combattere la criminalità organizzata attraverso le parole, di riempire pagine, libri e coscienze con quelle realtà che prima d’ora erano rimaste sepolte sotto uno spesso strato di paura ed omertà.

Ma per far ciò, come è ben risaputo, Saviano ha accettato di vivere nell′anonimato, di alienarsi dalla vita di tutti i giorni. È dunque questo il prezzo che un giornalista, in Italia, deve pagare per poter godere di un diritto che gli spetta? Non è assurdo che in un Paese democratico venga a mancare uno dei punti cardinali su cui esso stesso si è fondato? Forse, dopo tanti anni, qualcuno è riuscito a rispondere a queste domande. Lo scorso sabato, infatti, il giornalista campano è stato insignito della laurea honoris causa in giurisprudenza dall′Università di Genova per “l′importante contributo prestato, attraverso la sua coraggiosa attività di giornalista e scrittore, alla lotta contro la criminalità organizzata e alla difesa del principio di legalità, asse portante dello Stato costituzionale e democratico di diritto”. L′ennesimo riconoscimento prestigioso che Roberto Saviano ha meritato ed ottenuto grazie alla sua passione ed al suo amore per la “parola”, quel desiderio di dire e raccontare che gli ha concesso onori, riconoscimenti e anche tante critiche.

Per l′occasione, inoltre, Saviano ha voluto soffermarsi sul rapporto tra la comunicazione e la criminalità organizzata, offrendo a quanti lo hanno ascoltato un intervento eccellente e umile al tempo stesso. “È la parola ascoltata – ha affermato durante la premiazione – sono le persone che ascoltano e che fanno di quella parola le proprie parole che incute timore alle organizzazioni criminali. Raccontare è parte necessaria e fondamentale del diritto”. Un diritto, quello di raccontare, che è sempre più messo in pericolo dagli atteggiamenti della politica, specie in Italia. Lo stesso Saviano ha voluto affermare che “non si può negare che chiunque oggi decida di prendere una posizione critica sa quello che lo aspetta, delegittimazione e fango”.  “Si invita a non raccontare, ad esempio, l′emergenza rifiuti a Napoli per non delegittimare la città  quindi non sono i rifiuti che delegittimano la città, ma chi li racconta”. La necessità di raccontare diventa dunque indispensabile per fare in modo che la gente sappia, conosca.

Ma, a poche ore dalla premiazione, lo stesso Saviano ha dovuto fare i conti con dichiarazioni poco lusinghiere da parte di Marina Berlusconi, figlia del premier e presidente del gruppo Mondadori, la quale ha definito “orrende” le affermazioni del giornalista che ha dedicato il titolo di laurea a tre magistrati del pool di Milano (Ilda Boccassini, Pietro Forno e Antonio Sangermando), tutti molto attivi nelle attività di contrasto alle criminalità organizzate e ultimamente impegnati nell′inchiesta in cui è invischiato pure il presidente del Consiglio. Anche questo, quindi, sembrerebbe l′ennesimo esempio di delegittimazione e di isolamento nei confronti della magistratura, specie se ad essere colpiti da tali affermazioni sono, appunto, tre dei pm che con più determinazione tentano di sconfiggere la criminalità organizzata.

“Orrore”, come ha poi affermato Saviano, “mi fa chi sta colpevolmente e coscientemente cercando di delegittimare e isolare coloro che in questi anni hanno contrastato più di ogni altro le mafie. Accusarli, isolarli, delegittimarli, minacciare punizioni significa inevitabilmente indebolire la forza della magistratura in Italia, vuol dire togliere terreno al diritto. Favorire le mafie”. In questo Paese sembra sia diventata una moda accanirsi contro i magistrati, a prescindere dal lavoro svolto. Sarà la toga a far di loro una delle prede più appetibili? Chissà. Ciò che è certo è che c’è sempre più bisogno di uomini veri come Saviano. L′Italia ha sempre più bisogno che emergano realtà sconosciute, di uomini coraggiosi che raccontano, che svelano intrecci loschi, affari nascosti. Ma ciò che è più importante è che tutto questo possa portare a loro non più pericoli e terrore, ma la sola soddisfazione di aver svolto egregiamente uno dei mestieri più belli al mondo, in cui la parola, se libera, diventa mezzo importante di cultura e informazione.

Giovambattista Dato -ilmegafono.org