Facciamo una premessa. La violenza è violenza, chiunque la commetta. A maggior ragione se si arricchisce dell’aggravante del branco, della sopraffazione e dunque della vigliaccheria. Al netto della lecita e anche comprensibile scelta di non solidarizzare per forza con chi ne è vittima, la violenza va comunque condannata. Perché non si può rischiare di trasformare la politica in occasione di scontro fisico. Per almeno tre ragioni.

Primo, perché una nazione civile e democratica, pur con tutti i suoi difetti, dovrebbe risolvere le tensioni dentro i confini della democrazia e del confronto. Secondo, perché la violenza genera altra violenza e tutto ciò porta, come sappiamo, morte, dolore, rancori e caos. Terzo, perché il caos produce sempre una reazione conservatrice che, in nome dell’ordine da ristabilire, ammette una estensione dei poteri preventivi e sanzionatori che vanno a restringere lo spazio democratico in diversi ambiti.

Allora, dopo le polemiche sul pestaggio di Palermo, cercare di non perdere la bussola non significa dimenticare quello che Forza Nuova e il suo segretario provinciale hanno fatto a Palermo in questi anni, con i pestaggi, corredati da rapine, le ronde illegali, ma vuol dire mantenere il controllo e non cadere nella trappola della violenza, che è un tema serio, nazionale. Siamo nel Paese nel quale c’è una parte che blatera da anni di sicurezza, ponendo visioni che non hanno alcun senso e che sono diventate generatrici di sottocultura radicata. La destra ha investito tutto il suo impegno sul tema securitario, lo ha fatto legandolo strettamente ai flussi migratori, costruendo attorno al migrante in quanto tale la sagoma di quel nemico riconosciuto e riconoscibile di cui proprio la destra ha storicamente bisogno come collante, come fucina di consenso. Lo ha sempre fatto, arricchendo il tutto con le solite bugie patriottiche.

Il problema è che le sono andati dietro più o meno tutti, con toni e modalità diverse, ma nessuno politicamente ha avuto il coraggio di ribattere con la realtà dei dati, con la forza delle idee, con una visione che sbriciolasse pazientemente e culturalmente la montagna di fandonie costruita sui migranti e sul loro falso primato in materia di criminalità e di rischio per la sicurezza. La stessa vicenda del terrorismo islamico è stata utilizzata in maniera irrazionale, per instillare paure diffuse, autorizzare strette sui diritti, approntare misure incostituzionali, partorire nuove forme di razzismo. La politica nel suo insieme, accompagnata da molti cattivi maestri dell’informazione, non ha fatto altro che nutrire i peggiori istinti, alimentare tensioni, spostare responsabilità e, dunque, deresponsabilizzare le teste calde, i fanatici, i violenti.

Insomma, è proprio quella politica che oggi blatera di sicurezza, il vero pericolo per la nostra sicurezza. Lo è da quando ha smesso di occuparsi dei veri rischi per il nostro Paese. Lo è da quando consente a gruppuscoli di esaltati di andare per strada a fare banchetti, raduni, commemorazioni durante i quali si fa disinformazione, si esibiscono simboli, slogan, obbrobri ideologici che l’Italia ha dichiarato per legge illegali. Il problema è anche la selezione politica che i partiti, non solo a destra, hanno deciso di fare al ribasso. Ci sono personaggi pericolosi che vivono anche dentro le sezioni locali di partiti che siedono in parlamento, come la Lega, e partecipano alla vita democratica italiana. Un nome su tutti: Luca Traini, il terrorista di Macerata, ma anche Franco Vignati, arrestato con l’accusa di femminicidio.

E per accorgersi che non è solo un problema della Lega, basta leggere una notizia terribile di qualche giorno fa, che però è stata ignorata dal dibattito politico: a Vittoria, Rosario Dezio, consigliere comunale (ed ex segretario) del Pd, di professione imprenditore, è stato arrestato con l’accusa di aver sequestrato, legato a una trave e barbaramente picchiato un suo operaio rumeno, colpevole di aver rubato una bombola di gas per potersi riscaldare dal freddo. Roba da schiavitù, da piantagioni sudamericane di epoche buie. Un abbrutimento che riguarda tutto il Paese. Tutto ciò avviene dentro un contesto politico orrendo nel quale si sono smarrite da tempo le priorità.

Lo abbiamo detto e scritto più volte: gli italiani si sono messi a fare i duri con gli immigrati, ma hanno dimenticato del tutto la vera minaccia, quella che ci ruba il futuro, uccide la nostra economia, impedisce a migliaia di cittadini di poter investire e di poter avviare progetti, non consente a molti imprenditori di competere alla pari con altre realtà imprenditoriali. Si chiama mafia. Mentre lo Stato si lascia avvolgere da dibattiti fondati sul nulla, da scontri politici di bassa lega, da slogan pieni di fumo sporco, le mafie si organizzano di continuo e prosperano. Mentre lo Stato osserva inerme le baruffe tra gruppi di esaltati fuori dal tempo, le mafie che marchiano l’Italia cambiano capi, organizzano successioni, si confrontano, collaborano, disegnano mappe economiche con spazi da aggredire.

E non solo al Sud, come una certa politica cialtrona e una parte della società italiana pedissequamente cialtrona pensa. Ma anche e soprattutto al nord. Quel nord nel quale la Lega e il resto del centro destra parlano di “prima gli italiani”, rintracciando nei “clandestini” l’emergenza, il problema di base della mancanza di sicurezza. Salvini, Berlusconi, Meloni e soci parlano di un nord e di un’Italia che hanno perso la bellezza di un tempo, la genuinità, la pace, raccontandoci di un’epoca romantica, quasi un paradiso in terra, prima dell’arrivo dei migranti. E la gente finisce per crederci. Non solo i più giovani che venti anni fa erano neonati, ma anche quelli che hanno attraversato la storia di una nazione devastata dalla violenza mafiosa, dal terrorismo politico, dai sequestri di persona, dagli omicidi, dalla droga che infettava i parchi, i giardini, le strade delle città.

Abbiamo dimenticato i morti di eroina, le stragi senza verità, le bombe su magistrati, poliziotti, cittadini, i giornalisti massacrati, i sacerdoti uccisi, le donne strangolate e i bambini sciolti nell’acido. Abbiamo dimenticato tutto. Non vogliamo vedere quello che siamo sempre stati e solo per colpa nostra. Una colpa che vogliamo scaricare su altri, per liberarcene e per sentirci migliori. La Commissione antimafia (leggi qui) ci ha ricordato di una mafia sempre più radicata e infiltrata nel tessuto produttivo. La relazione finale parla di una situazione preoccupante soprattutto al nord e in particolare in Lombardia.

La Lombardia di Salvini e della Lega, di Berlusconi e di Fontana. Gente che fa politica attiva ormai da anni e che, invece di parlarci di migranti e profughi, dovrebbe spiegarci perché non sono stati capaci di sfidare le mafie, di impedire che la Lombardia che hanno amministrato, amministrano e vogliono amministrare venisse permeata con tale intensità dai clan. Lo stesso vale per le altre forze politiche che continuano a puntare il dito contro i migranti. Dovrebbero spiegarci perché tacciono sempre, quotidianamente, sull’argomento mafia.

Ecco, allora, la violenza la condanniamo tutti, va bene, però dopo averlo fatto sarebbe bello che qualcuno se ne assumesse la responsabilità politica. E sarebbe bello lo facesse anche davanti al fallimento globale di un Paese che in questi anni ha mostrato il pugno di ferro contro i migranti, con provvedimenti disumani e razzisti, e ha lasciato che le mafie crescessero, riprendessero vigore, dominassero intere fette del territorio nazionale.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org