Si chiama “I am Syria” ed è uno dei siti che tiene il conto delle vittime del conflitto siriano dal suo inizio nel marzo 2011. Finora i morti, secondo “I am Syria”, sono 500.000. Di questi, secondo la Ong Rete siriana per i diritti umani, circa la metà sono civili e 26.446 sono bambini. I profughi costretti a espatriare, invece, sono quasi 5 milioni e mezzo, dei quali 3,1 milioni si trovano in Turchia, poco più di 997.500 in Libano, circa 655.000 in Giordania, poco più di 247.000 in Iraq e quasi 127.000 in Egitto. Donne e bambini costituiscono circa i tre quarti dell’intera popolazione di rifugiati.

Questi numeri sono solo uno degli aspetti dell’immensa devastazione causata dal conflitto in Siria, in corso ormai da quasi sette anni e moltiplicatosi nel tempo in diverse guerre interne. L’ultima è quella scoppiata nel cantone curdo di Afrin, dove l’esercito turco, appoggiando milizie islamiste, è intervenuto per eliminare “la minaccia alla sua integrità territoriale” rappresentata dalle istanze indipendentiste curde.

Come è noto, Ankara considera il Partito dell’unione democratica siriana (Pyd) e le milizie ad esso affiliate, le Unità di protezione del popolo (Ypg), un distaccamento siriano dell’organizzazione terroristica del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) e più volte in passato ha minacciato di attaccare le aree da esso controllate nel nord della Siria. A gennaio scorso, la Turchia ha dato il via all’operazione “Ramo d’ulivo”, nel cantone di Afrin, che ha già causato decine di morti, anche dalla parte turca, e costretto altre centinaia di civili a lasciare le proprie case, provocando una nuova ondata di distruzione. A nulla sono valsi gli appelli internazionali ad evitare gli scontri. Ankara ha proseguito nella sua campagna anticurda, iniziata già nel 2015 sul territorio turco, quando sono fallite le trattative avviate con il Pkk di Abdullah Ocalan.

Per la sua egemonia di potenza, il governo turco ha dato vita ad un nuovo conflitto nel paese vicino già dilaniato dalla guerra civile, facendo nascere allo stesso tempo una crisi aggiuntiva con Damasco. È di pochi giorni fa, infatti, la notizia che il governo siriano avrebbe raggiunto un accordo con le Ypg per l’ingresso di truppe dell’esercito di Damasco ad Afrin, allo scopo di combattere “l’invasore turco”. L’emittente televisiva libanese “al-Manar”, affiliata agli Hezbollah, alleati di Damasco, ha riferito nei giorni passati di “gruppi di forze popolari siriane” che cominciavano “a entrare nella regione di Afrin, nel Rif settentrionale di Aleppo”.

Nel timore che la nuova alleanza tra Ypg ed esercito siriano costituisca un pretesto per scatenare un nuovo sub-conflitto, la Russia, alleata principale di Damasco ma allo stesso tempo partner strategico di Ankara, è stata indotta a proporre una mediazione. Mentre le potenze “discutono”, però, i civili continuano a fuggire e a morire, non solo nel cantone di Afrin, ma anche nella provincia di Aleppo, in quella di Damasco e in altre aree dove ormai non c’è più nemmeno il pretesto di dover eliminare lo Stato islamico.

La Russia, che forse riuscirà nel suo tentativo di mediazione ad Afrin, ha respinto invece pochi giorni fa una tregua nel Ghouta orientale, roccaforte dei ribelli a est di Damasco. In quell’area, in soli quattro giorni, dal 19 al 22 febbraio, sono morte 350 persone, tra le quali decine di bambini. Gli ultimi attacchi delle forze siriane appoggiate da Mosca non hanno risparmiato nemmeno gli ospedali. Ancora una volta, insomma, l’assurda logica dettata dagli interessi delle grandi potenze ha prevalso sul valore della vita umana.

Tutto questo mentre in Italia continua una mediocre e arida campagna elettorale, basata principalmente sulla paura dell’immigrazione di massa, in cui si trascura il fatto che la stragrande maggioranza delle “persone” che vogliono entrare in questo Paese fugge da guerre e devastazioni come quella siriana. E in cui si trascura il fatto che la cittadinanza o l’appartenenza etnica, di fronte alla miseria e alla distruzione, non dovrebbero avere alcun valore.

G.L. -ilmegafono.org