La Gioconda di Leonardo da Vinci è forse il quadro più famoso al mondo. Leonardo la portò con sé fino alla fine della sua vita e, quando morì, presso la corte di Francesco I re di Francia, anche la sua amata tela restò in terra straniera. Il re, infatti, la portò con sé al castello di Fontainebleau e, più tardi, Luigi XIV la fece trasferire a Versailles, dove rimase fino alla rivoluzione francese. Dopo la rivoluzione, il quadro fu spostato al museo del Louvre, in cui è conservato ancora oggi.

Non dobbiamo dimenticare che la Gioconda è un ritratto, ma non uno qualsiasi. Come la fotografia dell’amata nel portafoglio di un emigrante, questo dipinto su tavola, che misura 77x53x1,3 cm, nel 1516 fu trasportato dal maestro toscano fino in Francia. Probabilmente l’opera fu iniziata intorno al 1502-1503 e, grazie alle analisi strumentali, possiamo affermare che almeno tre versioni di questo ritratto si nascondano sotto la superficie pittorica a noi visibile oggi. Leonardo, infatti, non dovette essere mai del tutto soddisfatto del risultato ottenuto e lavorò sull’opera fino alla sua morte. La bellezza della donna ritratta doveva essere impareggiabile.

«Prese Lionardo a fare per Francesco del Giocondo il ritratto di Monna Lisa sua moglie; et quattro anni penatovi lo lasciò imperfetto la quale opera oggi è appresso il re Francesco di Francia in Fontanbleo». Questa donna, secondo quanto scrive il Vasari, era dunque Lisa Gherardini, moglie di Francesco del Giocondo. Il Vasari continuava dicendo: «Nella qual testa chi voleva vedere quanto l’arte potesse imitar la natura, agevolmente si poteva comprendere, perché quivi erano contrafatte tutte le minuzie che si possono con sottigliezza dipignere. Avvenga che gli occhi avevano que’ lustri e quelle acquitrine che di continuo si veggono nel vivo, et intorno a essi erano tutti que’ rossigni lividi et i peli, che non senza grandissima sottigliezza si posson fare. Le ciglia per avervi fatto il modo del nascere i peli nella carne, dove più folti e dove più radi, e girare secondo i pori della carne, non potevano essere più naturali».

«Il naso – continua il Vasari -, con tutte quelle belle aperture rossette e tenere, si vedeva essere vivo. La bocca, con quella sua sfenditura con le sue fini unite dal rosso della bocca con la incarnazione del viso, che non colori ma carne pareva veramente. Nella fontanella della gola, chi intentissimamente la guardava, vedeva battere i polsi: e nel vero si può dire che questa fussi dipinta d’una maniera da far tremare e temere ogni gagliardo artefice e sia qual si vuole. Usòvi ancora questa arte, che essendo Mona Lisa bellissima, teneva mentre che la ritraeva, chi sonasse o cantasse, e di continuo buffoni che la facessino stare allegra, per levar via quel malinconico che suol dare spesso la pittura a i ritratti che si fanno. Et in questo di Lionardo vi era un ghigno tanto piacevole che era cosa più divina che umana a vederlo, et era tenuta cosa maravigliosa, per non essere il vivo altrimenti”.

A causa di alcune discrepanze nella suddetta descrizione del Vasari (probabilmente riferita ad una di quelle versioni nascoste in cui comparivano dettagli ormai scomparsi del ritratto, come sopracciglia più folte e fossette sulle guance), la critica ha cercato altre possibili candidate per risolvere il mistero. Nel corso dei secoli sono state fatte diverse congetture sull’identità della persona che si nasconde dietro lo pseudonimo di Gioconda: Caterina Sforza, Caterina Buti del Vacca (madre di Leonardo), Isabella d’Aragona, Bianca Giovanna Sforza e altre.

Ma la più probabile resta sempre Lisa Gherardini, moglie di Francesco del Giocondo. Nel 2005, lo storico Veit Probst ha trovato un documento del 1503 redatto dal cancelliere fiorentino Agostino Vespucci in cui si conferma l’esistenza di un ritratto di Lisa del Giocondo per mano di Leonardo. Oggi, grazie al recentissimo studio di Roberto Manescalchi sull’argomento, abbiamo finalmente conferma dell’identità della Gioconda.

Sembra infatti che Morto da Feltre, allievo di Leonardo, abbia affrescato al secondo piano della foresteria del convento dei Servi di Maria Santissima Annunziata, a Firenze, dei volti d’angelo i cui tratti somatici corrispondono esattamente a quelli della Gioconda di Leonardo. Qui, infatti, sostiene lo studioso, era solita recarsi Lisa Gherardini per incontrare il marito Francesco che vi lavorava come cambiavalute e forniva al convento stoffe e paramenti liturgici. Dalle pagine dell’opera di Manescalchi capirete che probabilmente è qui che Leonardo si dedicò per la prima volta al ritratto oggi conosciuto come la Gioconda e che è qui che egli insegnava ai suoi allievi l’arte del ritratto.

Angelo De Grande -ilmegafono.org

R. Manescalchi, “Gioconda”, vol. 1, ed. Grafica European Center of Fine Arts, 2017.