Il talento di un artista e la qualità della sua musica si riconoscono subito, già dal primo singolo che capita di ascoltare. Ma non è sempre scontato che le buone sensazioni di quel primo assaggio si confermino poi, quando tra le mani arriva il disco d’esordio. Nel caso di Strea, di cui avevamo parlato su queste pagine lo scorso maggio, in occasione dell’uscita del singolo intitolato Ophelia, le buone sensazioni, non solo sono confermate, ma sono ancor più amplificate. La cantautrice bresciana, infatti, ha da poco pubblicato il suo primo album, uscito con l’etichetta Vrec e intitolato “Gold and Mess”.

Nove tracce molto intense e delicate, un racconto personale e completo che arriva a chi ascolta, attraverso arrangiamenti sapienti e ben strutturati e, soprattutto, attraverso la voce incantevole, pulita, malinconica e profonda di Strea. Sia chiaro, però, che “Gold and Mess” non è un disco solo malinconico, anzi riesce a presentare una interessante eterogeneità, con ritmi energici e vivaci che si alternano ad atmosfere più intime, simili a quelle delle ballad d’autore. Oro e disordine, talento e libertà: questo potrebbe essere il leitmotiv dell’album.

Un bel mix che, a livello musicale, si traduce nell’alternarsi di sonorità e ambientazioni diverse, passando dall’alternative e dal rock più duro all’art rock e al folk, con evidenti sfumature prog. Un disco completo, che vanta anche collaborazioni prestigiose, come quella di Colin Edwin, ex bassista dei Porcupine Tree (nel brano Ophelia), oltre a contenere due cover bellissime ed emozionanti, nella versione rivisitata da Strea: Runnin Up That Hill di Kate Bush e The Lost Song Part 2 degli Anathema.

Insomma, l’album di Strea (che abbiamo ospitato nell’ultima puntata di “The Independence Play”, la nostra trasmissione radiofonica) è di quelli che vanno ascoltati, gustati e custoditi con cura tra le cose che fanno bene all’anima e alla musica.

Redazione Musica -ilmegafono.org

La copertina dell’album “Gold and Mess”