La vera bestia è l’uomo, come recita un popolare modo di dire. Senza abbandonarsi alla retorica spicciola, i fatti di cronaca delle ultime settimane spingono a pensare che sia realmente così. La bestialità umana si è manifestata in tutta la sua potenza, le pagine dei quotidiani e gli schermi dei nostri smartphone ci hanno restituito immagini riprovevoli, stupri, violenze, aggressioni, contro i propri simili, ma anche contro gli animali. Ultima in ordine cronologico, ma non per gravità, è la triste vicenda dell’orsa Amarena, in Abruzzo. La notte del 31 agosto, l’orsa Amarena, come suo solito, era scesa in paese, alla periferia si San Benedetto dei Marsi, per cercare qualcosa da mangiare insieme ai suoi cuccioli. Poi la tragedia. L’orsa è stata uccisa a fucilate da un abitante del posto, nel pressi del Parco. L’intervento dei veterinari non ha potuto fare altro che constatarne il decesso, la necroscopia poi ha dato informazioni più accurate sulle cause: i proiettili hanno perforato i polmoni, scatenando un’emorragia interna.

L’orsa ha provato a rialzarsi, ma non c’è stato niente da fare. Già in passato era stata vittima di spari e aggressioni, l’ultima, purtroppo, le è stata fatale. I suoi cuccioli, ancora troppo piccoli per separarsi dalla mamma, sono scappati, ma nei giorni successivi sono stati intercettati. Insomma, una vicenda che non può essere considerata solo un banale scontro tra animale e cacciatore. I contorni si estendono a fattori ben più complessi, a partire dal rapporto tra centri abitati e specie animali autoctone. Dov’è, dunque, il problema? La mancanza di normative e limiti si era già vista con la vicenda dell’orso Jj4, in Trentino, che nel corso di una violenta aggressione ha ucciso il runner Andrea Papi, un ragazzo di 26 anni, lo scorso aprile. La colpa non è di Andrea, né dell’orso, ne è sicura anche la mamma del ragazzo che, con tutta la famiglia, è stata sin da subito contraria all’abbattimento dell’animale.

Le prime parole della madre, all’indomani della tragedia, sono state: “Volevano il morto, adesso ce l’hanno”. Una frase lapidaria che vuol dire solo una cosa: la responsabilità è delle autorità locali, che hanno reintrodotto gli orsi sul territorio, vicino ai centri abitati, senza un’effettiva garanzia di sicurezza per le persone e per gli animali stessi. Dopo l’aggressione ad Andrea Papi si era deciso di abbattere Jj4. Una soluzione estrema e drastica che di certo non risolve il problema della mancanza di sicurezza, che da tempo interessa le zone più popolate dai plantigradi. Dapprima si era deciso per l’abbattimento dell’orsa Jj4, dicevamo, poi la decisione è stata sospesa, un via vai di incertezze che di certo non pongono fine alla controversa situazione.

Nella spasmodica ricerca di un colpevole, si è portati a puntare il dito contro l’orsa, o meglio, le orse. Ma c’è un dato non trascurabile da considerare: gli orsi fanno gli orsi, anche in un territorio non esattamente idoneo a ospitarli. Sono animali, e in quanto tali cercano cibo, avvicinandosi alle fonti di nutrimento più vicine. Se vengono reintrodotti in territori fortemente antropizzati (e cementificati), faranno di necessità virtù, frugando tra i rifiuti e, qualche volta, anche tra i dolci dei fornai. A volte gli incontri ravvicinati si risolvono con un grande spavento, molta cautela, e poi via, ognuno per la sua strada, altre volte, scatta la tragedia.

È toccato ad Andrea, ed è poi toccato all’orsa Amarena, che, per l’appunto, si stava comportando come un’orsa, molto semplice. L’uomo, con il suo fucile, ha fatto poi il resto, innescando una spirale infinita di calunnie, preoccupazioni, proteste e grida d’aiuto. Per gli orsi, ma anche per le popolazioni locali, vittime di una normativa poco attenta alla tutela dell’ambiente. È giusto ripopolare le zone boschive di predatori, ma in che modo? E a che prezzo? Vite spezzate, dall’una e dall’altra parte. La risposta violenta e punitiva contro chi non ha colpe, sia per mano di legge, che per mano autonoma, non è la soluzione. Non lo sarà mai.

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