Tutti ricordiamo ancora lo slogan con il quale l’attuale presidente della Regione Sicilia, Nello Musumeci, aveva condotto la propria campagna elettorale e celebrato la vittoria finale: “Diventerà bellissima”. Un aggettivo superlativo che è rivolto alla Sicilia, come è chiaro, e ad un intento comune di riportarla in alto, ad un livello elevato di gestione politica, scevro dai vizi e dai problemi annosi con i quali la Sicilia è costretta a fare i conti. Era tutto molto bello, almeno nei propositi dell’attuale governatore, nonostante egli stesso, già prima delle elezioni, era stato fortemente contestato (soprattutto da M5S e dalla sinistra di Claudio Fava) a causa di una sfilza di impresentabili che popolavano le liste del centrodestra: gente in odore di mafia o che, in un modo o nell’altro, possedeva un passato politico oscuro o quantomeno non proprio trasparente.

Qualche giorno fa, a distanza ormai di sei mesi dal giorno della vittoria del centrodestra siciliano, mesi segnati, sin dai giorni immediatamente successivi al voto, da numerosi arresti di esponenti della maggioranza, un altro deputato della coalizione di centrodestra, Giuseppe Gennuso, è stato arrestato con la gravissima accusa di voto di scambio elettorale politico mafioso, con l’aggravante di essere sceso a patti con un clan mafioso di Avola (Siracusa). Per questo motivo, il Nucleo Investigativo di Siracusa ha provveduto all’arresto immediato del deputato (al momento ai domiciliari), considerando elevato il rischio di fuga.

Insieme a lui, sono stati arrestati anche Massimo Rubino (procacciatore di voti e presunto mediatore tra Gennuso e il clan) e Francesco Giamblanco, genero del boss avolese Michele Caprula (già detenuto in regime di 41bis). Stando a quanto scoperto dalla Dda di Catania, il deputato Gennuso avrebbe ottenuto almeno 400-500 voti dalla cosca mafiosa in cambio di soldi. Un nuovo caso di voto di scambio, questo, che va a collegarsi ad un altro simile che ha già colpito recentemente il centrodestra siciliano (poche settimane fa Alessandro Pagano, deputato per la Lega in Sicilia, è stato indagato con la stessa accusa).

Insomma, da quel fatidico giorno di novembre, il presidente Musumeci non ha certamente potuto dormire sonni tranquilli: tra un arresto e l’altro, infatti, il rischio è che all’Ars, di deputati della sua area ne rimangano pochi, a dimostrazione che il sentore che le elezioni potessero essere effettivamente “inquinate” dalla presenza di candidati abbastanza discutibili non era una esagerazione.

Quel che fa sorridere, per così dire, è ripensare alla voglia e alla dedizione che lo stesso Musumeci e i propri elettori avevano mostrato per l’intera campagna elettorale: al di là dell’arroganza di chi vantava una sorta di dna antimafioso della destra più pura alla quale Musumeci si onora di appartenere (un’arroganza insensata, vista l’avvilente storia passata e recente della destra in Sicilia), Musumeci e i suoi  sembravano convinti di poter risollevare le sorti di questa povera terra e si mostravano sicuri di cambiare il corso delle cose nell’isola, partendo proprio dalla legalità e dal buon governo.

Un mantra recitato a ogni dibattito e confronto, con momenti di assoluto imbarazzo quando, di fronte alle giustificate e circostanziate accuse degli avversari sul tema delle liste, Musumeci rispondeva sviando o offrendo, come garanzia (evidentemente insufficiente), la sua storia personale rispettabile.

Fa sorridere, dicevamo, perché, in fondo, da un politico così esperto e navigato come lui ci si aspettava un po’ di sano realismo e un maggiore peso, una maggiore capacità direzionale nella costruzione delle liste proprie e della propria alleanza. Probabilmente, la necessità di vincere e di andare al governo ha prevalso sulla necessità di tutelare la propria credibilità. Il potere, d’altra parte, fa ingoiare anche i bocconi più amari e talvolta fa accettare quello che di solito, pubblicamente, si ritiene inaccettabile.

Ma l’apice dell’imbarazzo in questa vicenda, lo ha toccato Musumeci, il quale, dopo un lungo silenzio, è intervenuto con parole nette e chiare: «La politica deve arrivare prima della Procura della Repubblica: quando non lo fa è chiaro che perde credibilità […] se la politica pensasse a fare selezione prima, io credo che molti problemi i partiti se li sarebbero risparmiati». Giusto, peccato che queste parole cozzino con le scelte del governatore, che sulle liste poco pulite delle forze della sua maggioranza non ha proferito parola, ignorando le tante segnalazioni e le critiche di Fava e Cancelleri in campagna elettorale. Facile dire adesso, a parole, quello che si è omesso di fare. Musumeci parla di selezione, riferendosi ad altri, ma dovrebbe rivolgere prima di tutto a se stesso l’accusa, vista la sfilza di impresentabili e di arresti nelle forze che lo sostengono.

Una maggioranza di governo che, fino ad ora, si è fatta notare solo per la rimozione dell’antimafioso Antoci dalla presidenza del parco dei Nebrodi, per il ruolo centrale assegnato a Gianfranco Miccichè, per le uscite grottesche dell’ex assessore Sgarbi e per le continue notizie di arresti di membri della maggioranza stessa. Nessun passo indietro, nessuna parola di condanna per quanto sta accadendo al proprio interno, nessuna spiegazione a quegli elettori che magari hanno votato Musumeci, confidando ingenuamente nella sua promessa di legalità.

Altro che “diventerà bellissima”. Qui c’è da capire prima di tutto, se questa isola riuscirà a non sprofondare ancora nella vergogna di un sistema mestamente e evidentemente incapace di attuare una decorosa e degna selezione della classe politica.

Giovanni Dato -ilmegafono.org