È ancora freschissimo il ricordo dell’elezione di Sergio Mattarella alla presidenza della Repubblica, salutato da un’ovazione generale, da un coro pressoché unanime di consensi. La sua storia, la sua figura integerrima, il suo alto ruolo nella tutela della Costituzione non possono essere messi in discussione. In queste ultime settimane, poi, lo stile di vita rigoroso e semplice del Capo dello Stato ha invaso le pagine dei giornali, i siti, i telegiornali. L’austerità e il contegno dei suoi comportamenti, il volo di linea per spostarsi privatamente, il treno e poi addirittura il tram per raggiungere la sede di un impegno istituzionale hanno conquistato i cittadini, che ne hanno apprezzato l’esempio, anche se qualcuno ha giudicato la scelta del tram esagerata.

A questa maniera un po’ “papale” (con riferimento a Bergoglio) di impostare la fase iniziale del suo mandato i mass media hanno dato ampio spazio, per poi finalmente raccontarci i primi impegni istituzionali del Presidente. Tra gli incontri, i temi affrontati e le parole da lui pronunciate, c’è però un silenzio che persiste e che non ci stancheremo mai di sottolineare, indipendentemente da chi ne sia, diretto o indiretto, protagonista. Il silenzio riguarda la vicenda del giudice Nino Di Matteo, il quale, per via della sua attività nell’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia, che ultimamente ha registrato anche ulteriori, importanti novità, si trova in una condizione di grave pericolo e di inaccettabile isolamento.

Oltre alle minacce continue e alle rivelazioni di confidenti e collaboratori di giustizia sul progetto di attentato predisposto da Cosa nostra nei suoi confronti, per il quale l’esplosivo sarebbe già da tempo a Palermo, Di Matteo deve subire anche le vendette del Csm, organo che, già sotto il regno di Napolitano, ha cercato con ogni mezzo di rendere la vita difficile a lui e ai suoi colleghi che indagano sulla trattativa. L’ultimo smacco, in ordine di tempo, è la bocciatura della candidatura del giudice palermitano alla Direzione Nazionale Antimafia, a vantaggio di altri tre magistrati (Marco Del Gaudio, Salvatore Dolce ed Eugenia Pontassuglia), sicuramente preparati, ma con un curriculum meno importante di Di Matteo, sia in termini di età che di anzianità professionale all’interno della Direzione Distrettuale Antimafia.

Insomma, ci risiamo. Il Csm continua a umiliare e lasciare solo un magistrato preparato che, malgrado gli attacchi del “fuoco amico”, malgrado la sentenza di condanna a morte emessa dalla mafia e l’assenza di protezione adeguata da parte dello Stato, continua a lavorare per quella giustizia sulla quale ha giurato. Cambia il presidente della Repubblica, ma non cambiano i vecchi, squallidi vizi di un organo di governo della magistratura che appare rancoroso e ingiusto, che non dà peso nemmeno ai curriculum, all’esperienza e allo spessore di un magistrato, così come al sentimento di decine di migliaia di persone, semplici cittadini che hanno a cuore la sorte di Di Matteo e che hanno persino firmato una petizione per sostenere la sua candidatura.

Di Matteo, istituzionalmente, è solo. Come lo erano Falcone e Borsellino, come lo sono tutti coloro che cercano la verità su quella maledetta trattativa. Solo e avversato. Una solitudine che spaventa chi non ha mai perso la memoria e mai ha abbassato la guardia sul possibile ritorno di una strategia aggressiva di Cosa nostra, soprattutto ora che molti referenti politici sono finiti in malora e ci sono nuovi equilibri da assestare. Dal governo, soprattutto da questo governo, non ci si attende nulla, dal momento che la linea di Renzi è quella di non parlare né occuparsi di mafia, preferendo anzi una riforma della giustizia che punisce i giudici e non assegna né potenzia gli strumenti utili a rafforzare le loro attività di indagine.

Ecco perché sarebbe cosa buona se almeno il presidente Mattarella, oltre ad andare in tram e svolgere le sue funzioni di rappresentanza, facesse qualcosa per proteggere Nino Di Matteo dalle mire mafiose e dai complici istituzionali che serpeggiano anche dentro il CSM che lo stesso Mattarella presiede. Considerato che egli è un uomo della vecchia antimafia che ha vissuto certi momenti tragici, sarebbe necessario che desse seguito ai suoi propositi enunciati nel discorso di insediamento e mettesse la lotta alla mafia tra le priorità del suo mandato, magari sollecitando sul tema il governo, che ci appare un po’ distratto, e proteggendo gli onesti servitori di una nazione inguardabile.

Sarebbe utile e gradito ai cittadini che Mattarella alzasse la voce, perché proprio nella sua Palermo si sta preparando un nuovo orribile e sanguinoso assalto allo Stato. Che dormano gli italiani o chi li governa insieme agli ex amici di Dell’Utri, quelli che per eroe avevano un boss (Mangano), è un conto, che dorma e taccia uno con la storia personale di Mattarella è un altro conto. Ed molto più doloroso.

Massimiliano Perna –ilmegafono.org