Allarme corruzione in tutto il mondo: è questo lo scenario preoccupante che emerge dalla relazione realizzata da Transparency International, la più importante organizzazione a livello globale (con sede a Berlino) in materia di analisi, studio e contrasto dei fenomeni corruttivi sotto ogni aspetto possible. Secondo i dati pubblicati e contenuti nella relazione, il fenomeno della corruzione sembra aumentare non solo nei Paesi notoriamente corrotti e in difficoltà, ma anche in quelli che hanno sempre “primeggiato” in quanto ad onestà e legalità.

Lo scorso anno (lo studio, infatti, prende in considerazione i dati relativi al 2017), nazioni come Finlandia, Svezia e Danimarca avrebbero sofferto un leggero incremento dei fenomeni corruttivi, tanto da perdere qualche posizione nella classifica stilata dall’organizzazione (che assegna voti da 1 a 100, dove quest’ultimo valore indica il massimo della libertà). Il rapporto inverso tra aumento di corruzione e riduzione della libertà è però quello che più  risalta nell’analisi di Transparency International. Esemplare è il caso delle Filippine: da due anni a questa parte (ovvero dall’elezione a presidente di Rodrigo Duterte), il piccolo Paese asiatico ha visto aumentare la lotta alle organizzazioni o a individui corrotti, spesso però in maniera drastica e brutale.

Pare, infatti, che durante il governo di Duterte ben 10 mila persone abbiano perso la propria vita in quelli che sono stati definiti dei veri e propri “omicidi extragiudiziari”. Nonostante questa battaglia ostinata nel tentativo di ripulire le Filippine dalla corruzione, dalla droga e dalla criminalità, il Paese del “Giustiziere”, come è stato definito, si trova ugualmente in basso alla classifica stilata dalla Transparency International, a dimostrazione che la corruzione esiste e si annida laddove c’è meno libertà o si cerchi di reprimerla uccidendo.

Quel che potrebbe sembrare un controsenso (perché far fuori dei corrotti significherebbe peggiorare la condizione di un Paese?) è in realtà la triste immagine di molte aree del continente asiatico, dove il problema principale è la riduzione della libertà e dei diritti.  I giornalisti e chiunque cerca la verità, in certi paesi, corrono un rischio costantemente alto, al punto che in molte nazioni il numero di giornalisti uccisi è pari ad uno a settimana.
Un dato spaventoso e che preoccupa la stessa organizzazione tedesca che ha lanciato, ancora una volta, appelli accorati affinché questo terribile trend venga fermato una volta per tutte.

Trend che per fortuna sembra essere cambiato proprio in Europa e, in particolare, in Italia: nel corso degli ultimi anni, infatti, il nostro Paese ha scalato diverse posizioni (ben diciotto) nella classifica europea, piazzandosi al 25esimo posto sui 31 paesi con più alta concentrazione di corruzione.  Certo, di strada ce n’è ancora da fare e non è affatto finita qui: se paragonato a tantissimi altri stati europei, il nostro resta sempre quel triste fanalino di coda che tanto fa parlare di sé in maniera negativa. Ad ogni modo, gli interventi della politica più recenti, tra cui la legge Severino, l’istituzione dell’Anac (Autorità Nazionale Anticorruzione) e diverse norme sugli appalti hanno permesso un leggero miglioramento della situazione generale e ciò fa ben sperare per il futuro.

Insomma, per poter sconfiggere la corruzione una volta per tutte (o almeno diminuirne portata ed effetti), l’azione  politica dei diversi governi è necessaria ed urgente: solo con leggi forti (nei limiti del rispetto della dignità e della vita umana, naturalmente), strumenti efficaci e una lotta unita e decisa nei confronti dei fenomeni corruttivi, sarà possibile migliorare ulteriormente la situazione. L’esempio più evidente ce lo mostra proprio l’Italia, sebbene in piccola parte: alcuni piccoli interventi (non del tutto sufficienti, ma comunque positivi) possono già rivelarsi utili. Fermo restando che, prima delle norme, dovrebbe intervenire un cambio culturale che rifiuti già concettualmente la corruzione.

Giovanni Dato -ilmegafono.org