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Fascismo, antifascismo e ignoranza

Fascismo, antifascismo e ignoranza

Fascismo e antifascismo. Per qualcuno sono categorie vecchie, schemi superati che non hanno più ragione di esistere. E quel qualcuno non è un avventore annoiato che sfoglia il giornale dentro un bar di paese. No. È un parlamentare, uno degli esponenti di punta del partito/movimento che ha preso più voti alle scorse elezioni politiche e che oggi si propone come prossima alternativa di governo. È Alessandro Di Battista, alfiere dei 5 stelle. È stato lui a dichiararlo in un’intervista, con il candore di uno scolaro che cerca di spiegare la storia a un professore che lo guarda dubbioso. Una semplificazione imbarazzante, l’incapacità di leggere in profondità le questioni del nostro tempo.

Un vizio che, se all’alba dell’avventura politica e parlamentare del movimento veniva giustificato, non senza imbarazzo, con l’inesperienza e l’eccessiva eterogeneità di un soggetto politico ancora in fase di consolidamento, oggi diventa preoccupante e non trova alcuna attenuante. La tendenza alla banalizzazione che disarma emerge troppo spesso: dalla questione immigrazione, con il “Dibba” che pensa di espellere tutti coloro i quali non ottengono asilo (ignorando le tante assurdità procedurali che, in Italia, impinguano i dinieghi ingiusti) o di cambiare il mondo con un click, togliendo le armi e aiutando i paesi africani e mediorientali a prosperare, fino all’ultima leggerezza sull’antifascismo. Leggerezza che sa più di superficialità.

E non c’è certo bisogno di tirare in ballo la storia delle simpatie ideologiche destrorse del padre, perché sarebbe inutile e stupido, anche perché far ricadere le colpe dei padri sui figli è sempre sbagliato e ingiusto. Fermiamoci allora a lui e ai suoi compagni di viaggio pentastellati. Ragionare sul cambiamento di certi schemi, sul fatto che possano avere assunto sfumature diverse, fisionomie e contesti differenti, è sempre un esercizio possibile. Purché si ragioni, però, e non ci si lasci invece andare a definizioni assolute, prive di approfondimento e di contorni chiari. Il mondo è cambiato, d’accordo, la storia è andata avanti e magari non è corretto definire certi steccati culturali e politici con il nome di una ideologia specifica e storicamente contestualizzata, ma ciò non significa che le derivazioni di quella ideologia siano morte. Tutt’altro.

Disconoscere l’attualità di certi obbrobri che popolano movimenti e forze politiche nazionali e internazionali, pensare che non esistano più pericoli di derive di estrema destra, proprio in un momento nel quale questi pericoli sono visibili, vitali e persino in crescita, significa due cose: o essere di una ignoranza granitica o essere velatamente parte di loro e, dunque, accodarsi nel negare o minimizzare così da poter avanzare nell’ombra. Personalmente propendo per la prima ipotesi ed è quella per certi aspetti più preoccupante, anche perché si estende a un movimento che, al suo interno, di voci e vocazioni destrorse ne ha più d’una, a partire dal proprio leader e fondatore.

Abbassare la guardia rispetto a neofascismi e forze di estrema destra che usano il cemento ideologico della xenofobia e del rigetto populista nei confronti di qualsiasi istituzione democratica, è esattamente una delle ragioni che ci ha portato a un deficit culturale e di memoria storica che ha risvegliato verminai fino a ieri seppelliti negli scantinati fangosi del passato. Lo stesso spostamento della politica europea e mondiale verso un potere chiuso e arroccato su egoismi ed esclusione è uno dei segni di quel gap di memoria che porta a riprodurre ingiustizie e disuguaglianze che, alla lunga, prospettano una implosione violenta. Ed è in quell’implosione che normalmente trova spazio un caos che, in assenza di riferimenti culturali solidi e illuminati, può incoraggiare tentativi reazionari che puntano, non sulla critica legittima al sistema e ad alcune sue parti, ma sul suo abbattimento a prescindere.

Per tale ragione, Di Battista dovrebbe sapere che, se non ci fosse stato l’antifascismo e se, negli anni successivi alla seconda guerra mondiale, la Resistenza e la Costituzione non fossero stati un baluardo, un appiglio, un riferimento saldo, l’Italia sarebbe crollata sotto i colpi di golpisti neri e complici mafiosi, di stragisti infami, di terroristi e di influenti fiancheggiatori internazionali. Dovrebbe sapere, Di Battista, che la Costituzione l’abbiamo difesa votando No a una proposta di revisione ignobile e pericolosa, perché crediamo nei suoi principi e nella grande opera di modernità, pacificazione e progresso morale e sociale che i padri costituenti hanno compiuto, con la visione antifascista a far da guida.

Non lo abbiamo fatto, come molti del suo movimento, per dire no a un governo o proporne una sostituzione, né per trovare spazio ulteriore per confuse critiche anti-sistema che non si poggiano sulla cultura e su una visione complessiva del bene comune. La minaccia iniziale di non partecipare al voto di fiducia, di non pronunciare un No in aula, all’interno di un percorso totalmente legittimo e costituzionale; la richiesta di andare al voto con una legge elettorale che in tanti (compreso i 5 stelle) hanno contestato e ritenuto ingiusta e antidemocratica oltre che ai limiti dell’incostituzionalità: sono tutti modi di agire che somigliano pericolosamente a quelle di capipopolo che puntano il sistema con l’intento generico di abbatterlo.

Un film già visto che solitamente porta, una volta conquistato il potere, a deformarlo a proprio piacimento, uccidendo il dissenso interno ed esterno e non praticando alcun dialogo con il “nemico”, che viene considerato tutto uguale, indistinto, orrendo. Ecco perché credo che ci sia ancora bisogno di antifascismo e che ci siano ancora troppi residui ideologici pronti a inquinare il nostro assetto democratico. Dobbiamo dire grazie alla cultura antifascista che Anpi, associazioni, insegnanti, intellettuali promuovono e tengono ancora viva nella nostra memoria, se riusciamo a non tremare davanti ai pericoli, ai Grillo, ai Salvini, ai Renzi che pensano che il potere sia una questione personale, che la politica sia ad uso e consumo dei vincitori.

È grazie alla Costituzione che abbiamo difeso, che ancora riusciamo ad alzare la voce e organizzare presidi quando certi prefetti o sindaci delle nostre città consentono le sfilate funeste di gruppetti di delinquenti con teste rasate e simboli nazi-fascisti che andrebbero vietati per legge (applicando quelle esistenti). Forse, prima di immaginarsi in un ministero o in un governo, qualcuno farebbe meglio a studiare un po’ di storia e soprattutto a imparare a leggerla. Perché più pericoloso del negare l’esistenza di fascismo e antifascismo c’è sicuramente la dimostrata e nociva convergenza fra ignoranza e potere.

Massimiliano Perna –ilmegafono.org

Autore

Massimiliano Perna

Sono un giornalista freelance, mi occupo da molti anni di immigrazione e diritti, ma anche di ambiente e mafia. Scrivere per me significa respirare e prendere posizione. Amo leggere e amo visceralmente la mia Sicilia e le opere di Pippo Fava. Ho un debole per le menti critiche che si coniugano con l'umanità e la semplicità. Disprezzo i razzisti e gli ipocriti e l'inerzia di chi potrebbe fare qualcosa ma non la fa. Sono il fondatore di questo sito, nato nel 2006, che oggi ha anche una web radio nella quale curo una trasmissione di approfondimento. I tempi sono bui e i silenzi troppi. Un megafono, sia esso di ferro, di righe e inchiostro o collegato a un mixer virtuale, può accendere qualche piccola luce. La mia speranza è di riuscire a tenerlo sempre acceso.

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