Un coltello sporco di sangue. Sul manico le impronte del criminale razzista che lo impugnava e che adesso dovrà rispondere di tentato omicidio aggravato da futili motivi e da motivi razziali. La speranza, non per l’aggressore ovviamente, ma per il destino della vittima, un richiedente asilo di nazionalità nigeriana, è che il reato non si muti in omicidio. Il giovane, infatti, è in gravi condizioni, dopo essere stato insultato, picchiato, accoltellato dall’aggressore che, infine, lo ha inseguito e investito con la propria auto. Una scena da Ku Klux Klan nel cuore della Romagna, a Rimini. Una violenza brutale originata da un immotivato odio nei confronti di una persona, legato solo alla sua razza e al colore della sua pelle.

Sembra di essere tornati indietro di secoli, di essere precipitati negli Stati Uniti dello schiavismo, nel Sudafrica dell’apartheid: invece, siamo nella realtà quotidiana dell’Europa del terzo millennio, quella nella quale progredisce la tecnica e regredisce l’umanità. Il sangue innocente di un cittadino africano sulla lama, le impronte digitali di un razzista sul manico. Su quel coltello, però, ci sono altre tracce meno individuabili: quelle dei veri responsabili, coloro i quali stanno sempre dietro le quinte della violenza. I mandanti, personaggi grevi che soffiano sul fuoco dell’odio e dell’orrore e poi tacciono quando scoppia l’incendio. I cattivi maestri del nostro tempo. Sono loro le voci che scoppiano nella coscienza sporca che arma le mani degli ignoranti, dei violenti, dei facinorosi, di questi ultras della discriminazione.

A Rimini, a spingere quella mano, idealmente c’erano anche loro. Politici, giornalisti, nazionalisti di facciata (che poi sulla nazione ci urinano ogni giorno senza fare troppi complimenti), facce torve, voci acidule e spietate. Non serve nominarli, li conosciamo tutti. Sono i nemici dei vostri figli e del loro futuro. Predicano oscenità ideologiche che pensavamo di avere cancellato, sepolto, spazzato via del tutto, ridotto a polvere. La loro polvere, invece, si è compattata ed è riuscita a infilarsi nelle fessure della storia e della memoria, sporcando l’Italia e l’Europa.

E il problema è che chi dovrebbe fornire gli antidoti dorme o, peggio, finge di essere sveglio e attento, ma poi si perde nelle parole vuote, negli annunci sterili che, non solo non generano azioni, misure, leggi correttive e dure, ma anzi, quando decide di fare finalmente qualcosa, finisce per deludere, per confermare il totale disinteresse rispetto al tema o perfino per riproporre identici mostri. C’è una puzza insopportabile di ipocrisia, c’è un linguaggio sbagliato anche in chi dovrebbe difendere certi valori. Impossibile non scuotere la testa, ad esempio, davanti ad articoli nei quali alcuni colleghi giornalisti, nell’inspiegabile bisogno di rafforzare il senso di ingiustizia di quanto accaduto a Rimini a un cittadino straniero, sottolineano la sua “fede cristiana”.

Vorrei sapere da questi colleghi quanto reputino essenziale rendere nota questa informazione di fronte a un caso di violenza inaudito. Vorrei che mi spiegassero cosa sarebbe cambiato se fosse stato musulmano. Vorrei che piuttosto sottolineassero il silenzio disarmante dei difensori della sicurezza, quelli che, se fosse accaduto il contrario, sarebbero in piazza a chiedere estensioni della “legittima difesa”, pena di morte, espulsioni di massa. Vorrei che parlassero dei responsabili politici. Vorrei anche che chiedessero a Minniti e Gentiloni, i due fautori degli accordi indecenti con la Libia, paese degli orrori e dei massacri, perché non hanno speso una parola sulla vicenda, perché non hanno chiesto scusa a un ragazzo che questo Paese avrebbe dovuto proteggere e che oggi, mentre scriviamo, non sappiamo ancora se riuscirà a sopravvivere.

La verità è che l’Italia non si accorge nemmeno del pantano nel quale sta sprofondando, grazie alla pochezza della politica, al silenzio degli intellettuali e alla scarsa attenzione (o, nel caso peggiore, alla complicità) degli osservatori e di buona parte dei media. La retorica non è certo una buona arma contro i cattivi maestri. Era già successo dopo Fermo, dopo l’uccisione di Emmanuel a Fermo, episodio gravissimo di intolleranza razziale a cui non era seguita alcuna misura eccezionale. In Italia, infatti, è ancora del tutto normale che un razzista possa permettersi di apostrofare un uomo dalla pelle nera con ingiurie orribili senza per questo subire alcuna sanzione.

Il legislatore preferisce accanirsi sui disperati in transito sul nostro territorio, predisponendo luoghi di detenzione, restringendo i diritti, favorendo condizioni di miseria e sfruttamento, piuttosto che colpire duramente razzisti, apologeti di fascismo e nazismo, violenti, gentaglia capace di massacrare o uccidere per pura ignoranza. Sembra quasi che questo Paese sia diventato di loro proprietà, che siano questi ultimi a decidere chi può starci e chi no. Ma questo è anche il mio Paese e quello di chi crede ancora nei valori dell’uguaglianza, della civiltà, della Costituzione: dovremmo essere noi ad avere il diritto di fermare e cacciar via chi i valori democratici li nega con violenza, sia essa materiale o ideologica.

Sembriamo minoranza oggi, al punto che i governi scelgono sempre di ammiccare alla parte più crudele e arretrata. E forse lo siamo. Perché quello di Rimini è un fatto talmente grave che non si dovrebbe parlare di altro, il governo dovrebbe intervenire, il parlamento dovrebbe indignarsi e legiferare, le associazioni, gli intellettuali, i cittadini democratici dovrebbero scendere in piazza a chiedere giustizia per questo ragazzo. Ci hanno insegnato le storie di Nelson Mandela e Martin Luther King, a scuola. Oggi mi giro, mi guardo attorno e vedo solo il silenzio ottuso di chi invece dovrebbe parlare. Allora mi viene da credere che forse, quelle di Mandela e di Luther King, erano solo storie e basta. E che la morale di entrambe la avremo pure letta, ma non l’abbiamo affatto capita.

Massimiliano Perna –ilmegafono.org