La riforma del lavoro approvata dal governo a marzo scorso è ormai legge. La Camera l’ha approvata il 15 maggio, con 279 voti favorevoli e 143 contrari.  Il nuovo testo modifica profondamente alcuni aspetti della normativa sul lavoro, ma ne lascia pressoché invariati altri che invece sarebbe necessario cambiare. La legge prevede nuove norme per il contratto di apprendistato: la più importante è quella che riguarda la prosecuzione del rapporto di lavoro per una determinata percentuale degli apprendisti di un’azienda. Le imprese con almeno 50 dipendenti avranno l’obbligo di stabilizzare gli apprendisti in una percentuale del 20%.

Altra misura significativa della nuova legge è  quella che dà la possibilità alle aziende di stipulare contratti a termine senza causale per tre anni. Fino ad ora le imprese potevano assumere a tempo determinato fino a un anno e avevano l’obbligo di motivare tali forme di impiego, per ragioni tecniche, organizzative e sostitutive. Ora invece i contratti a termine potranno essere stipulati senza causale per 3 anni durante i quali saranno possibili fino a cinque proroghe.

In base alla legge, il numero dei lavoratori con contratto a tempo determinato non può essere superiore al 20% del numero dei lavoratori assunti a tempo indeterminato (in forza dal primo gennaio dell’anno di assunzione). Per i datori di lavoro che occupano fino a cinque dipendenti invece è sempre possibile stipulare un contratto di lavoro a tempo determinato.

Questa modifica relativa ai contratti, che incentiva le assunzioni a tempo indeterminato e allo stesso tempo non impedisce il lavoro a termine, potrebbe apparire a prima vista molto positiva. Se non fosse per un piccolo particolare: le aziende che violano le norme, in particolare quella sui precari (il cui numero non deve superare il 20% per cento dell’organico stabile), non sono più obbligate ad assumere il lavoratore, come prevedeva una formulazione iniziale della legge, ma devono semplicemente pagare una multa. Il superamento del limite comporta una “sanzione amministrativa” pari al 20% e al 50% della retribuzione per ciascun mese di durata del rapporto di lavoro. Le imprese fuorilegge pertanto potranno rimediare all’abuso con un’oblazione, che non corrisponde nemmeno all’intera retribuzione del dipendente “sfruttato”.

Ancora una volta, quindi, datori di lavoro ricchi e furbi potranno trovare un escamotage per evitare assunzioni scomode e il riconoscimento al dipendente dei diritti e dei contributi che gli spettano. Se poi consideriamo che nella legge non c’è alcun accenno ad un rafforzamento dei controlli sul rispetto della normativa sul lavoro ecco che anche le regole più eque e ferree perdono di significato. Ci sono già migliaia di piccole e medie imprese in Italia, infatti, che non rispettano in alcun modo i principi basilari della legge sul lavoro e, in assenza di controlli o denunce, potranno continuare a farlo in modo indisturbato. 

Giorgia Lamaro -ilmegafono.org