[avatar user=”MassimilianoBlog” size=”thumbnail” align=”left” /]
La mia isola somiglia a un’opera d’arte, una delle più belle al mondo. Ammirata, desiderata, saccheggiata. A volte la ricorda soltanto quell’opera d’arte, ma come fosse nel giorno successivo e tragico di un atto vandalico compiuto non da ragazzini annoiati, ma da uomini in giacca e cravatta o in tuta mimetica.
La mia isola alla fine è una ferita. Violenza che sfida bellezza, veleno che sfida cultura.
Niscemi è solo l’ultimo clamoroso luogo di ingiustizia, di saccheggio. La pianura della Sicilia più verace, arida e secca e poi d’improvviso verde e fiorita, adesso mostra l’infezione del malaffare, della schiavitù verso gli USA, catene lunghe quasi tre quarti di secolo, attaccate ai polsi dei siciliani subito dopo lo sbarco alleato, con le chiavi affidate alla mafia e alla sua propagazione politica.
Un’infezione che mostra le sue eruzioni di metallo sulla sua pelle di grano e agrumi. Eruzioni lunghe 149 metri e con un diametro di oltre 18, rispettivamente come le due antenne e le tre parabole del MUOS (Mobile User Object System, un moderno sistema di telecomunicazioni satellitari) innalzate dalla marina militare americana dentro la riserva Sughereta, un’area naturale di interesse comunitario già violata nel 1991 con l’installazione della NRTF-8, la più grande base militare statunitense nel Mediterraneo (leggi qui per saperne di più).
Un’altra porzione di territorio ceduta alle mire espansionistiche a stelle e strisce, alla loro volontà di utilizzare la Sicilia come punto strategico per le operazioni militari e di influenza sul Mediterraneo, in perfetta sintonia con la vicina Sigonella, capitale mondiale dei droni, gli aerei senza pilota, il nuovo fronte della strategia bellica americana. La militarizzazione dell’isola, obiettivo storico degli USA, perseguito sempre attraverso la ricerca di convergenze (o vere e proprie collusioni) con la peggiore borghesia sicula, con gli apparati politici più corrotti e, ovviamente, con l’antica e fedele alleata mafiosa. Un’ idea perversa a cui Pio La Torre si oppose e che, probabilmente, fu una delle cause principali del suo assassinio a Palermo, insieme all’autista Rosario Di Salvo.
Isola, splendida e dannata isola. Sola e abbandonata, malata di una solitudine che condanna i suoi abitanti che da anni combattono contro questo scempio, che non è solo ambientale o sanitario (punti scontati per un dibattito confuso tra pro e contro), ma soprattutto civile e culturale, perché stravolge il futuro di una terra di pace, di mescolanza, di saperi, di ospitalità, di turismo. Tutti tratti che si stanno smarrendo, sotto l’inettitudine di una politica che non cambia, stagna, non rinuncia a liberarsi delle catene arrugginite del potere più sporco.
La gente della mia isola combatte, ma non ne parla nessuno. Non siamo la Val di Susa, non siamo il Nord, non siamo cittadini di questo Paese. Siamo solo figli di una terra considerata puttana, dove chiunque, pagando qualcosa, che sia il silenzio o la complicità, può affondare le proprie mani e il proprio squallido piacere.
Così accade che nemmeno la Costituzione valga per noi siciliani, neanche se protestiamo, chiediamo civilmente di poter esprimere il nostro dissenso. Ti negano, come ha fatto la questura di Caltanissetta, persino di manifestare, nonostante donne, ragazzi, uomini, bambini, tutti con una civiltà esemplare lo facciano da anni, senza reagire alle cariche vergognose che hanno dovuto subire per ordine di dirigenti di polizia che la fanno sempre franca. Cittadini che esigono solo il rispetto legittimo (anche costituzionalmente) del proprio volere, chiedendo di essere considerati più importanti di un progetto straniero che minaccia il futuro. Inascoltati, picchiati, presi in giro, buggerati anche da quel presidente Crocetta che aveva promesso ben altro, che avrebbe dovuto accamparsi in perpetuo davanti a quel presidio e mettersi accanto ai cittadini. Sollevare un conflitto istituzionale. E non lo ha fatto. Ha tradito. Punto. Il resto sono solo scuse.
“La ragion di Stato”, rispondono dai palazzi. “Gli accordi internazionali”, ribadiscono. Addirittura, per dare riparo alla propria incapacità, tirano fuori la solita stronzata, il solito stereotipo di facile presa: “Nei movimenti ci sono infiltrazioni mafiose”. Una bestemmia, un’ignoranza storica, visto che la mafia e gli USA sono sempre andati a braccetto e che persino una delle aziende incaricate della realizzazione del MUOS è stata privata qualche anno fa della certificazione antimafia.
Pirandello è nato in Sicilia. Non poteva nascere altrove. Il paradosso è nel DNA di questa isola, soprattutto dentro le facce di bronzo di chi la rappresenta e l’ha rappresentata. E che, tra discariche a due passi da riserve naturali di valore inestimabile, trivellazioni petrolifere, concessioni selvagge a lidi e stabilimenti balneari in zone di pregio naturale a protezione speciale, continua per pochi spiccioli a lasciarsi distruggere o ad autodistruggersi, senza guardare al futuro.
Isola. Silenziosa isola. Da un lato, odiata e sfruttata da una nazione indegna a cui molti di noi prestiamo servizi, competenze, valori e intelligenze; dall’altro, dissanguata e vilipesa dai quei suoi stessi figli avidi che la dominano e la credono così forte ed eterna, capace di digerire tutto, da pensare che non le costi più di tanto ingoiare letame e ricevere coltellate profonde ogni maledetto giorno.
Gli altri, quelli che la amano davvero e la curano e difendono costantemente con tutte le proprie energie, non potranno rimediare in eterno.
Prima o poi si arrenderanno anche loro. Di questa nostra isola non ne conosceremo il destino.
Commenti recenti