Tra una folla ansiosa e festante di donne e uomini, sotto la pioggia, con gli ombrelli aperti e lo sguardo all’insù, in attesa di scrutare il colore del fumo sputato da un comignolo che per due giorni abbiamo visto da tutte le angolazioni, la Chiesa ha scelto la sua guida. Nel gioco delle trattative e delle mediazioni che anima un Conclave, alla fine a prevalere, come accade molto spesso, non è stato uno dei principali favoriti, anche se non era nemmeno tra quelli da scartare. Il cardinal Bergoglio è il nuovo Papa, con il nome altamente evocativo di Francesco. Un gesuita, un uomo che ha scelto la semplicità, nella sua vita come nella sua esperienza ecclesiale, una semplicità che, sin dalla sua incoronazione, ha voluto mostrare al popolo cristiano e agli osservatori di tutto il mondo. Nella formalità dell’elezione non ha voluto accomodarsi sul trono, ha indossato la veste papale senza la solenne mozzetta, portando al collo la croce di ferro che aveva già da vescovo e rifiutando quella d’oro che spetta ai pontefici. Niente scarpe rosse firmate, un posto sull’autobus in compagnia degli altri cardinali, al posto della papa mobile, per ritornare, dopo l’elezione, alla Domus Santa Marta.

E poi un discorso semplice, nei toni come nelle parole, alle migliaia di persone che lo osannavano, insieme alle quali ha pregato, come se si trattasse di una semplice messa domenicale e non dell’investitura a capo della Chiesa, eletto al trono in uno dei momenti più difficili della sua storia e in una situazione politica mondiale complessa e drammatica. Tutto il mondo ha seguito, ovviamente, quella che è una scelta importante soprattutto sul piano politico. Tutti salutano il nuovo Papa, chi più chi meno formalmente, mentre in Italia, a pochi minuti dalla sua nomina, spuntano già le fazioni: i consueti supporters senza se e senza ma e i detrattori, altrettanto senza se e senza ma. Insomma, anche in questo caso non è possibile un ragionamento sereno e cauto, soprattutto non ci si concede nemmeno un minuto di tempo per ragionare in termini più complessivi e per far trionfare, almeno per una volta, la prudenza e la pazienza sull’impulso.

Se nelle scelte di vita e nel concreto esercizio della sua vocazione, il cardinal Bergoglio ha mostrato sensibilità assoluta nei confronti dei poveri, degli ultimi, delle periferie dell’umanità, mostrandosi riluttante dinnanzi agli orpelli, ai giochi di potere, ai privilegi, agli sprechi, ci sono delle ombre che lo ammantano di un’ambiguità che per alcuni è già, ineluttabilmente, il tratto iniziale di disegni reazionari al servizio del dogmatismo, della conservazione, della solita chiusura del Vaticano nei confronti della modernità. Personalmente, da non credente, cerco sempre di guardare le cose con l’occhio laico della storia e di ragionare lasciando perdere gli impulsi, le visioni complottiste e quelle, al contrario, drogate di ottuso fanatismo. Così, leggo dell’iniziale appartenenza del giovane Bergoglio alla teologia della Liberazione, quella che in Sudamerica ha combattuto al fianco dei diseredati, dei poveri, dei perseguitati dai regimi sanguinari che massacravano i dissidenti e i giusti.

Un’adesione venuta meno negli anni in cui, in Argentina, Videla con un colpo di Stato prendeva il potere, instaurando una dittatura feroce che torturò, eliminò, fece scomparire decine di migliaia di dissidenti. Ben 30.000 di loro sono spariti nel nulla. I cosiddetti Desaparecidos, i figli delle mamme di Plaza de Mayo, le stesse che qualche anno fa accusarono Bergoglio di essere un complice della dittatura. Perché? Per via della cattura di due sacerdoti gesuiti, Orlando Yorio e Francisco Jalics, che il regime non amava per via del loro impegno nei quartieri più poveri. Cinque mesi di prigionia e di torture, prima di essere rilasciati. Loro stessi hanno accusato l’attuale Papa, colpevole di aver tolto, da capo dei gesuiti di Buenos Aires, la propria protezione ai suoi due parroci. Una vicenda complessa, fatta di accuse che Bergoglio (e non solo) ha respinto come calunnie, accuse che si contrappongono alle testimonianze in favore del sostegno che egli, invece, avrebbe dato a tanti dissidenti, aiutandoli a nascondersi. A ciò si aggiunga la richiesta di scuse a cui, da cardinale, Bergoglio ha costretto la Chiesa argentina, per la complicità con il regime che ha insanguinato il paese sudamericano.

Insomma, una vicenda controversa, così come fu controversa la posizione di Giovanni Paolo II nei confronti del dittatore cileno Pinochet. D’altra parte, non potrebbe essere diversamente, considerato che i vertici della Chiesa, in tutto il Sudamerica, hanno appoggiato i vari regimi sudamericani nati in funzione anticomunista e antisocialista. Un peccato per il quale la storia non ha concesso e non concederà assoluzioni. I rappresentanti della teologia della Liberazione sono stati combattuti, isolati, annientati, soprattutto poi durante il pontificato di Wojtyla. Per quanto riguarda lo spirito conservatore della Chiesa e della dottrina, esso accomuna il nuovo pontefice ai suoi due predecessori. La posizione su matrimoni gay e aborto è praticamente identica. Francesco, così come fece Giovanni Paolo II (ricordate il caso delle suore violentate nell’ex Jugoslavia?) considera deplorevole anche l’aborto di chi ha subito una violenza sessuale.

Sulle donne, in generale, la concezione di Bergoglio è pessima e si riassume nelle parole pronunciate in occasione della candidatura alla presidenza dell’argentina di Cristina Kirchner: “Le donne sono naturalmente inadatte per compiti politici. L’ordine naturale ed i fatti ci insegnano che l’uomo è un uomo politico per eccellenza, le Scritture ci mostrano che le donne da sempre supportano il pensare e il creare dell’uomo, ma niente più di questo”. Le perplessità, dunque, sono molte e giustificate, però stiamo parlando di un punto di vista della concezione religiosa e di una storia dai tanti aspetti controversi e priva di prove concrete. Pertanto, da non cattolico, non trovo interessante o sorprendente quello che un cardinale di 76 anni pensa dei diritti civili o dell’aborto o delle donne in politica. Non condivido ma non ritengo decisivo quello che pensa. Anche perché non credo che nel conclave vi fossero posizioni tanto più aperte o moderne. È un virus radicato che infetta le gerarchie vaticane. Nemmeno la modernità riesce a debellarlo.

Il punto che, personalmente, mi interessa, però, è un altro ed è strettamente politico: questo pontefice saprà affrontare con forza un’opera di rinnovamento della Chiesa sul piano dell’attenzione ai poveri, dello spostamento verso le periferie, lontano dagli sfarzi, al fianco di chi reclama giustizia sociale e riscatto? Ci vuole una Chiesa che possa rimettere in discussione il disegno economico del mondo, combattendo il modello capitalista soprattutto in quei territori in cui si nutre della vita di migliaia di donne e uomini dimenticati dal mondo. I diritti umani, la ridiscussione del modello di economia globale, l’accoglienza, l’apertura alle migrazioni, la lotta al razzismo, il rifiuto della guerra, la condanna dei regimi autoritari e di quelle parti della Chiesa che li hanno sostenuti, la fine dell’ingerenza sulla vita politica degli stati sovrani, l’opposizione allo sfruttamento delle risorse in Africa.

La sfida è immensa e per combatterla ci vuole un cambio di direzione. Un voto di umiltà e di povertà nel nome di quel santo a cui il pontefice ha dedicato il proprio nome. Al di là di tutti i discorsi sulle ambiguità o sui conservatorismi religiosi. La vera sfida, in questi tempi, si gioca sul piano politico mondiale. Aspettiamo di vedere come Francesco ha intenzione di vincerla o quantomeno se vuol provare a giocarla.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org