La musica italiana negli ultimi decenni ci ha insegnato ad associare allo stile compositivo napoletano soprattutto lente ballate moderne per pianoforte, con testi carichi di sentimenti malinconici e scritti mediante un linguaggio che si colloca tra l’italiano e il dialetto campano. Fortunatamente esistono le eccezioni, rappresentate da coloro che si dissociano dalla massa e che provano a proporre qualcosa di nuovo nonostante i gusti musicali, in certe zone, siano spesso insindacabili. Di queste eccezioni fa parte il gruppo rock degli Ahiphema. Dal 2005, anno della loro formazione, gli Ahiphema fanno vibrare di rock alternativo la loro città di provenienza, Napoli, e non solo. La band vanta all’attivo già qualche lavoro da studio e, adesso, con un nuovo album da poco lanciato sui dispositivi audio e su tutto il web, è pronta a mettersi in gioco con l’intento di “distillare dall’albero dell’arte la resina più pura”, riprendendo un concetto espresso proprio dai membri del gruppo.
Il processo di distillazione dall’albero del rock alternativo, un albero che vede anche qualche venatura in cui scorre linfa grunge e noise, è appunto racchiuso nel loro nuovo lavoro discografico: “Breath”. L’album vanta ben dieci inediti in cui si alternano, anche in un’unica canzone, sonorità differenti: si passa da momenti di relax ad altri di intenso caos, prima un soave arpeggio poi un distorsore che spezza l’aria, prima una tranquilla ritmica acustica poi una grinta e un’energia dirompenti. Ogni pezzo preso singolarmente denota un certo interesse: le melodie riverberate di chitarra, accompagnate opportunamente da un basso non banale, talvolta sembrano descrivere dei sogni, come nel caso di Tress of cool, The burial e I.Karma; altre volte, invece, si viene catapultati nella cruda realtà, come in Silent gear, After all e Overdosed, in cui sembra avere il predominio una sorta di rabbia musicale.
Da un punto di vista più generale, analizzando il lavoro nel complesso, risultano apprezzabili i remake fatti sui cori, i quali danno un’ulteriore sensazione di quiete alla musica e si amalgamano benissimo con la voce; meritano citazione anche i soli di chitarra e basso, che mostrano come la band non trascuri neanche l’aspetto tecnico strumentale. Se vogliamo, l’unica pecca dell’album sono, sporadicamente, le improvvisazioni di chitarra inserite durante le strofe per accompagnare la voce, le quali risultano forse un po’ troppo dissonanti rispetto alla base. Nonostante ciò, “Breath” risulta un lavoro di ottima qualità che racchiude “un insieme di emozioni psichedeliche e dinamiche”, rispecchiando esattamente ciò che gli Ahiphema si erano prefissati di comporre.
Manuele Foti –ilmegagofono.org
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