In un mondo a trazione social in cui l’essenza di un brano e il ragionamento compositivo perdono via via di significato in favore di una musica sempre più minimalista e dai contenuti spesso superficiali a livello introspettivo, esistono comunque band che continuano a coltivare il proprio personale stile non curandosi della strana direzione che ha preso la musica negli ultimi due decenni. Artemisia è il nome di uno di questi gruppi. Il loro è appunto un genere divincolato dal mainstream, che si propone di raccontare qualcosa in modo inatteso, di trasmettere una emozione che sia profonda, che possa scavare – o che quantomeno ci provi – nell’animo o nell’istinto di chi ascolta. Per approfondire la musica degli Artemisia prendiamo come riferimento il loro ultimo album, intitolato “Derealizzazione sintomatica”.

Volendo considerare il concetto di “derealizzazione” non come un disturbo patologico che altera la realtà, ma bensì come una caratteristica di chi si propone di comporre musica, allora non c’è elemento più essenziale per chi desidera rompere degli schemi. Derealizzare significherebbe quindi dissociarsi dalla realtà – musicale in questo caso – per creare un processo compositivo indipendente, il quale, abbinato alla ragione, produce un prodotto interessante e di qualità. In effetti queste due caratteristiche le ritroviamo entrambe, chiare e ben definite, lungo le otto tracce che compongono la tracklist di “Derealizzazione sintomatica”.

L’album è strutturato a partire da un hard-rock vecchio stampo. Quest’ultimo tuttavia non è onnipresente e ostinato come capita di ascoltare in produzioni di questo genere; è piuttosto un punto di partenza dal quale poi modellare una gamma di suoni più ampia, concedendosi la libertà di spaziare tra armonie, ritmi e sonorità a proprio piacimento. Quella che ne scaturisce è una realtà hard-rock distorta da ricordi alternative, in cui una decisa voce femminile affianca una strumentazione che si alterna tra momenti spinti e altri più quieti.

Gli Artemisia ci propongono una musica particolare: riferimenti, ad esempio, al rock sperimentale o qualche accenno progressive fanno sì che il contesto in cui viene immerso l’ascoltatore non sia di facile decrittazione, non possa essere etichettato rapidamente, ma richieda invece un’analisi più attenta e scrupolosa per effettuare una adeguata anamnesi.

“Derealizzazione sintomatica” è addirittura il sesto album per gli Artemisia (che abbiamo ospitato durante l’ultima puntata della nostra trasmissione radiofonica “The Independence Play”), una produzione che non è solo una splendida conferma, ma anche un ulteriore tassello da aggiungere a quell’ indipendenza compositiva che fin dai loro albori ne è stata il leitmotiv.

Manuele Foti – ilmegafono.org

La copertina dell’album “Derealizzazione sintomatica”