Qualche tempo fa Philippe Daverio intervistato da Alain Elkann spiegava: “Vado in Sicilia per capire l’unità d’Italia”. È un’affermazione affascinante, carica di nozioni, gonfia di rispetto. Daverio conosce l’arte e conosce la storia, e pare conosca anche le persone, dato che nella stessa intervista afferma che “ci sono tantissimi africani tra noi e noi non ne sappiamo niente e continuiamo a comperare degli accendini da laureati in filosofia”. A ben vedere lui, in questi giorni, è possibile trarre la conclusione che Trenitalia non conosce nessuna di queste cose, oppure, nel caso dovesse asserire di conoscerle, dovremmo concludere che conosce ancora meglio il denaro, al punto da farsene scendiletto. Perché la scelta di tagliare fuori la Sicilia dai collegamenti col resto d’Italia non può spiegarsi altrimenti.

Dal 12 dicembre, cioè fra un pugno di domeniche, i treni che collegano l’Isola al resto della nazione avrebbero potuto essere cancellati, tagliati, soppressi, depennati. Ai siciliani avrebbero potuto strappare via la possibilità di uscire dalla Sicilia in treno, cioè col mezzo di trasporto alternativo per antonomasia. Alternativo all’aereo, alternativo all’automobile. Non che prima la situazione fosse rose e fiori, che i treni fossero eccezionali. Anzi: la rete ferroviaria isolana è già uno schifo di suo, con tempi enormemente dilatati, carrozze fatiscenti in un gran numero di casi. Ma così, già indietro rispetto all’Europa di anni, avremmo continuato, a passo di gambero, ad avvicinarci al baratro. E avremmo perduto anche la memoria, l’affresco della valigia di cartone sul mitico treno del Sole. Poi è arrivato il deputato alla Camera, Basilio Catanoso, ha avuto un colloquio col ministro Matteoli e con l’amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato, Mauro Moretti, e la cosa s’è risolta.

Che strano, però. FS aveva pensato di dare un colpo di spugna alla Sicilia, cioè di mettere in pratica un’azione letteralmente mostruosa, che avrebbe coinvolto migliaia e migliaia di persone procurando un danno economico e sociale di rilevante entità, soprattutto in questo delicatissimo momento storico, per poi ripensarci dopo “un colloquio”. Basilio Catanoso, da Acireale, scambia quattro parole, o qualcuna in più, col ministro alle Infrastrutture e ai Trasporti e con l’ad di FS, e la cosa si risolve. Una bolla di sapone. “Il ministro Matteoli – ha dichiarato Catanoso – ha indicato all’amministratore delegato Moretti di risparmiare sì, ma su altri fronti”. Punto. Come dire che un folle con brama di uccidere e che sta per prendere a colpi d’accetta un uomo ci ripensa e fa cadere la scure su una formica.

Verrebbe da dire: ma siete matti? Che vi salta in testa? Però poi, sentita un’altra frase di Catanoso a commento della vicenda, il pensiero cambia, l’incredulità fondata su un atto apparentemente ingenuo prende un’altra forma. Addirittura si fa sospetto. Perché Catanoso a conclusione del suo comunicato pieno di soddisfazione, dice, in merito al danno che ha scongiurato e alla nuova decisione dell’ad: “Tutto ciò anche in linea con le previsioni di medio e lungo periodo, collegate anche alla progettazione e costruzione del ponte sullo Stretto di Messina, che prevedono il rafforzamento del trasporto su rotaia verso la direttrice siciliana”. Sì, prima si corre il rischio di perderli, i treni, e poi, come se il rischio non ci fosse mai stato, si parla di migliorarli.

Ma tu guarda: certe notizie vengono fuori come i funghi dopo una tempesta. Sì, perché a pensare male, ma veramente male, certi pezzi vanno a incastrarsi come tasselli di un puzzle. Catanoso, deputato Pdl proveniente dalla roccaforte del partito di Berlusconi, da quella Sicilia vero e proprio serbatoio di voti per le tornate elettorali nazionali, getta sul tavolo della soluzione il ponte sullo Stretto, ossia il jolly che ogni tanto da Arcore salta fuori per le operazioni di consenso. Consenso fondamentale in periodo elettorale o in momenti di crisi. O in momenti di crisi che precedono un periodo elettorale.

Il ponte… Proprio quella chimera infrastrutturale dalla quale dovrebbero venir fuori tutte le altre infrastrutture, come le strade ferrate che in Sicilia non si sono mai viste e che in centinaia hanno promesso senza mantenere la parola; quel ponte sullo Stretto che dovrebbe essere (nel caso dovesse essere realizzato, e sul merito i discorsi sarebbero altri) solo l’ultimo atto di una più generale regolamentazione delle più che necessarie infrastrutture siciliane, e che invece dai più viene definito prima pietra per la sistemazione, una sorta di cattedrale nel deserto che dovrebbe poi generare una città. E ora eccolo qua, non esiste ma torna sulle bocche, come fosse il trillo di una sveglia perfettamente funzionante.

Ma tu guarda i funghi, e la tempesta non è neanche finita.

Sebastiano Ambra -ilmegafono.org