Forse avevamo capito male quando, da bambini, ci veniva spiegata la storia italiana, in particolare quella relativa al secondo conflitto mondiale e al dopoguerra, con le scelte democratiche, la nascita della Costituzione, il primo governo e il primo presidente della Repubblica. Ci avevano spiegato che il 2 giugno è la data nel quale si celebra la scelta storica del popolo italiano, che in quel giorno del 1946 decretò, con il proprio voto referendario e non con le armi, la nascita della Repubblica e la soppressione del regime monarchico. Un’Italia che si lasciava alle spalle il fascismo e la guerra, il sangue, le bombe, le torture, gli eccidi e iniziava a ricostruire le sue fondamenta, partendo dalla Resistenza e dalle forze dalla diversa formazione ideologica che ne furono protagoniste.

Quel 2 giugno si sceglieva la forma dello Stato e si eleggeva l’Assemblea Costituente. Si guardava al futuro e si cercava di mettere da parte il rumore dei cingolati, dei proiettili, dei passi d’oca e degli stivali dei soldati. Ci avevano insegnato questo a scuola, avevano fatto capire, a noi che avevamo ormai attraversato gli anni ’80, che quello era stato il primo vero grande momento di unificazione nazionale, un fatto di popolo, di elettori e finalmente elettrici, di cittadini e cittadine, di politici responsabili, intellettuali antifascisti e giuristi illuminati.

Oggi, la Festa della Repubblica, dopo la sua reintroduzione avvenuta nel 2000, viene puntualmente celebrata, ogni anno. In che modo? Con la solita parata di esercito e forze dell’ordine, la sfilata, il palco delle autorità, le frecce tricolori che rombano nel cielo.

E tutte le volte mi chiedo il perché la festa di una scelta popolare debba essere celebrata con l’esercito, con le parate, con la mostra dei mezzi aerei, con le forme, i rituali e le procedure militari. Non ne trovo il senso. Lo troverei forse in una celebrazione del 25 aprile, della fine della guerra, dal momento che sono stati tanti i militari e i carabinieri che sono morti eroicamente nella lotta contro i nazisti e contro i traditori italiani che si schierarono al loro fianco, e sono storie di uomini semplici che hanno sacrificato la loro vita per salvarne altre e per donarci la libertà. Ma che senso ha, invece, imprimere il marchio militare a una manifestazione civile?

La Repubblica non l’ha fatta l’esercito, non l’hanno costruita le forze dell’ordine. La Repubblica coincide con la Costituzione, con i lavori per la sua formulazione e approvazione. Allora sarebbe più giusto dedicare la festa alla Costituzione, svolgere una giornata in sua difesa, con occasioni per spiegare a tutti i cittadini l’importanza di certi principi, farli vivere concretamente, attraverso l’arte, il gioco, la cultura, le testimonianze. Costerebbe di meno e sarebbe più corretto e coerente. E soprattutto educherebbe tutti al rispetto del dettato costituzionale, di quei valori fondanti che sono la sintesi migliore delle idee che animavano le diverse forse democratiche italiane nel dopoguerra.

Personalmente sono stanco di questa retorica patriottica basata sui militari, sull’esercito, sul ruolo dei nostri soldati. Che fanno il loro lavoro (e hanno scelto di farlo), così come lo fanno gli operai, i muratori, gli spazzini, gli assistenti agli anziani oppure gli insegnanti, i magistrati, i medici, gli infermieri e così via, contribuendo con il proprio lavoro al bene della nazione e alla sua sopravvivenza.

Anche la vicenda dei due marò, che ha invaso la festa della Repubblica, sta assumendo una connotazione sbagliata. Che si discuta sulle regole di ingaggio, sulla possibilità di un’estradizione e di un giudizio affidato alle autorità italiane, sulla effettiva responsabilità dei due indagati o piuttosto degli altri quattro marò che con loro erano a bordo della nave mercantile italiana, è sacrosanto e corretto, perché attiene alle garanzie giudiziarie che devono valere per tutti. Ma riempire la vicenda di retorica patriottica trasformando due accusati di omicidio (che siano Latorre e Girone o altri è uguale) in due vittime o addirittura due eroi, dimenticando che sono morte due persone innocenti, sparate per errore, non lo si può accettare.

Così come non si può accettare il fatto che il 2 giugno diventi il pretesto per santificare i militari, a prescindere. Soprattutto in una nazione nella quale si sono nascoste le ambiguità della Folgore, sia all’estero che dentro le loro caserme (vedi la “Gamerra” di Pisa e il caso di Emanuele Scieri). Smettiamola con il patriottismo, che in questa accezione, in Italia, è sempre stato o ridicolo o pericoloso e tragico, senza mai conoscere mezze misure. L’unico patriottismo utile dovrebbe essere quello a difesa della Costituzione, visti i continui assalti che, ogni volta che cambia un governo, si trova a fronteggiare. E cominciamo a dare al 2 giugno l’impronta di una vera festa repubblicana, dove i militari possano partecipare come parte di questa nazione, ma senza quel ruolo di protagonisti che, per nostra fortuna, nella storia della Repubblica, non hanno mai avuto.

Massimiliano Perna –ilmegafono.org