Non pensavo che oggi, nell’Italia dei veleni e dello squallore, delle barzellette e del fango, fosse ancora possibile emozionarsi, avere la pelle d’oca nell’ascoltare un uomo politico parlare, in un caldo pomeriggio milanese, su un palco adagiato sul polmone verde della città. Verde come la speranza, circondata dal rosso della passione che abita parole vere, gestite con un linguaggio impeccabile, trasportate alla folla con il calore vibrante di chi ha ancora in mente un’idea di cambiamento, un progetto culturale prima che politico, un’evoluzione filantropica del concetto di cittadinanza, società, solidarietà, sviluppo. Migliaia di persone ad ascoltare, in silenzio, appassionate, appese ai tanti sentimenti suscitati da quel discorso così lontano dalla mediocrità dei tanti figuranti a cui siamo abituati, a quei gusci senz’anima che cercano di travestirsi, più o meno maldestramente, da sorridenti e bonari vicini di casa per poterti derubare l’anima.

Sentimenti che vibravano, nell’aria tiepida, immobile, tra le bandiere, a certificare rabbia, stanchezza, desiderio di rompere quel muro di insopportabile compromesso, di odiosa e complice moderazione che sta pian piano facendo afflosciare un’opposizione sempre più lontana dal Paese e sempre più impegnata a rincorrere i “nuovi mostri” che governano Milano e l’Italia sul terreno delle tematiche da loro messe al centro del dibattito. No, da quel palco si è parlato poco di Ruby, di barzellette, di processo breve, e si è scelto di parlare di  giustizia in senso ampio, di povertà, di immigrazione, di ambiente nel suo insieme, di politica estera, di pace, di giovani, di stato sociale, di precariato, scuola, lavoro, disoccupazione. Si sono toccati i nervi scoperti di un Paese allo sbando e lo si è fatto con chiarezza, con trasporto sincero, senza artifizi, senza costruzioni, senza strategie di comunicazione studiate a tavolino o discorsi scritti e suggeriti.

Si è sentito un soffio di aria nuova che ha riempito il cuore e i polmoni di tutti, anche di chi ormai ha troppa delusione in corpo per essere disposto a rischiarne un’altra. Ma lui, Nichi Vendola, è riuscito a convincere, ha strappato applausi, ovazioni, ha dato ossigeno a chi ormai vive in apnea nell’oscurità del tempo. Più forte degli attacchi volgari di giornali capeggiati da servi della gleba dell’informazione, da fabbricatori di fango certificati, più forte dell’omofobia ignobile di personaggi di infimo valore, più forte delle paure della vecchia guardia di un partito in apparente agonia come il Pd che continua a temere di essere sfaldata dall’evidente potenza di un’alternativa concreta, che non propone programmi politici indecisi e caotici o una semplice sostituzione di potere, ma che è piuttosto portatrice di una visione chiara e netta di ciò che serve all’Italia, di un nuovo modello di società che rimetta al centro l’essere umano.

Vendola ripete più volte che l’uomo, l’umanità nel senso più alto deve tornare al centro dell’azione politica ed insieme a ciò deve tornare centrale il rispetto dell’ambiente, che non può essere sacrificato al profitto facile ed immediato degli avidi predoni del futuro. Si tratta di un umanesimo moderno, di un romanticismo illuminato, non fine a se stesso, né visionario, ma basato su fatti, dati, esempi, su ragionamenti che sono perfettamente logici se si guarda al mondo con occhi “umani”, non dimenticando che dopo di noi verranno altri e che a noi tocca il compito di “custodire” questo pianeta. È stato un segno di speranza vedere tutte quelle persone che ascoltavano in silenzio, applaudivano con rabbia, sembravano affidarsi a chi continuava a ripetere che è possibile cambiare, che quel popolo domenicale è il popolo del cambiamento, così diverso e così numeroso rispetto a quelle 6mila vuote comparse andate al Palasharp a sentire le esternazioni rozze di un vecchio megalomane ormai alla fine della sua tragica recita.

E lo stesso segnale di speranza lo hanno dato, pochi giorni dopo, le migliaia di persone giunte davanti alla stazione Centrale di Milano, per un evento-concerto dedicato a chi vuole liberare questa città dai morsi infettivi dei “nuovi mostri” che ne stanno rosicchiando la linfa. Un popolo che ha invaso la piazze e le strade circostanti, una folla immensa rispetto alle attese. E la gente fa paura a questa accolita mostruosa di manipolatori del bene pubblico, li terrorizza, perché a loro ricorda che il Paese non è dentro i salotti o nei sotterranei lussuosi o nelle ville con piscina e pali di lap-dance.

Il Paese è qui fuori, è stanco e li aspetta, perché non ne può più dei danni che questi monarchi crudeli e mostruosi, bravi solo ad affiggere manifesti indecenti, costruire dossier e diffamare con mezzi ignobili come ha fatto di recente la Moratti (dietro sicuro ed evidente suggerimento), hanno procurato alla nazione intera. Il popolo, quello fatto di gente normale, che vive la vita di tutti i giorni, con i suoi problemi reali, attende di incontrare questi “nuovi mostri”, di vederli nudi, spogliati del loro insopportabile ed arrogante senso di potere. La gente è stanca e il aspetta per strada, ma preferisce prima smaltire un po’ di questa stanchezza con la partecipazione e con il voto, per impartire a questi aguzzini del futuro una lezione chiara su una materia che loro non hanno mai studiato: la democrazia.

Massimiliano Perna –ilmegafono.org