Poco meno di tre mesi fa, in un nostro ciclo chiamato “Conflitti dimenticati: il sangue del Sud Sudan”, vi avevamo parlato della feroce guerra civile che sta insanguinando il Sud Sudan. Oggi, vedendo che il massacro continua, vi aggiorniamo sugli ultimi sviluppi. Le stime ufficiali parlano di circa 13mila morti da dicembre ad oggi e circa 1 milione di sfollati. Il conflitto tra le due principali etnie, i Dinka e i Nuer, ha visto un forte inasprimento proprio nelle ultime settimane. Uno degli ultimi episodi vede l’assalto a un compound ONU da parte dei Dinka capeggiati da Salva Kiir con tanto di scontro con i caschi blu di stanza nel Sud Sudan.

I fatti e le dinamiche in un territorio come quello del Sudan meridionale sono spesso confusi e vaghi ma resta fermo che 350 Nuer in abiti civili sono entrati nel campo di rifugiati della città di Bor (nord del Sud Sudan) e hanno sparato su 5000 sfollati. Uno scontro a fuoco con i caschi blu coreani e indiani e un bilancio di 58 vittime, in maggioranza donne e bambini, insieme a 10 assalitori; questo è quanto asserisce Toby Lanzer, un alto funzionario dell’ONU. Gabriel Hilaire, project manager per Intersos, che, al momento dell’attacco, si trovava nel campo per una distribuzione di kit d’emergenza, racconta: “Li ho visti arrivare, armati. Hanno iniziato a sparare in mezzo alla gente che aspettava: donne, bambini, anziani inermi. Non abbiamo potuto far altro che correre, ma non tutti si sono salvati”.

Un attacco ad una base ONU è un episodio che all’interno di conflitti locali è di entità rilevante da un punto di vista diplomatico, considerata anche l’etica militare di sola difesa del corpo militare internazionale. Preoccupazione è stata espressa dall’ambasciatore americano alle Nazioni Unite, Samantha Power, che ha ribadito che le basi Onu devono essere considerate “inviolabili” e ha promesso l’aiuto di Washington e dei suoi alleati per individuare i responsabili di questo “terribile attacco”. Ban Ki-Moon attraverso il suo portavoce, ha condannato l’attacco “inaccettabile e che costituisce un crimine di guerra”.

A questa notizia si aggiunge quella del massacro di 200 civili durante la presa di Bentiu da parte dei ribelli Nuer guidati da Riek Mashar. Lo spettacolo dell’orrore è adornato dall’agghiacciante incitazione alla violenza sulle donne tramite radio locali e dalle peggiori dimostrazioni di intolleranza razziale ed etnica.

Il paese è molto ricco in termini petroliferi, con Cina e Rus­sia tra i mag­giori inve­sti­tori nel settore. Nel Sud Sudan ope­rano tra le altre la China Natio­nal Petro­leum Corp., l’India Ongc Videsh e la Petro­nas della Male­sia. Il conflitto non vede limiti e confini e per molti versi ricorda quel che accadde in Ruanda nel 1994, quando vi fu uno dei più grandi genocidi che la storia moderna possa ricordare. A far da campanello d’allarme è proprio l’indifferenza internazionale al cospetto di qualcosa che non si può più chiamare “guerra civile” ma è ormai una vera e propria “guerra tra etnie”. Ancor più grave è quel che molti chiamano “impotenza” dell’ONU, che spesso rischia di sfociare in una vera e propria cecità diplomatica.

Fame e povertà portano a guerre in cui la banalità del male trova la sua naturale esaltazione macabra, il tutto mentre l’emisfero del nord è un silenzioso spettatore con sedile in tribuna d’onore.

Italo Angelo Petrone -ilmegafono.org