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Accadeva il 25 aprile, quarantotto ore fa, nel giorno della festa della Liberazione, quello in cui ricordare la vocazione pacifista della Costituzione di una Repubblica fondata sul lavoro che ripudia la guerra. Il giorno nel quale celebrare il sacrificio immenso di cittadini che scelsero di lasciare le proprie case per andare a combattere per la libertà. Donne e uomini che si rifiutarono di obbedire al fascismo o di lasciarsi massacrare dai nazisti, dai repubblichini, dalle squadracce. Il 25 aprile è il giorno nel quale un Capo dello Stato dovrebbe parlarci di valori, di esempi importanti da scegliere tra i tanti che fecero quella storia, che scrissero le pagine più dolorose ma anche più gloriose del nostro Paese.

Volevo sentirglielo dire, volevo che rimediasse a tante cose, a cominciare dal silenzio e dall’indifferenza con cui ha seguito le provocazioni e gli oltraggi alla festa nazionale e a Bella Ciao, inno della Resistenza. Mi sarebbe piaciuta qualche parola, avrei apprezzato un minimo di buon senso relativamente alla difesa dei principi fondanti della nostra Costituzione.

E invece sono arrivate queste parole: “Dobbiamo dunque procedere nella piena, consapevole valorizzazione delle Forze Armate che continuano a fare onore all’Italia. E desidero non far mancare una parola per come fanno onore all’Italia i nostri due marò a lungo ingiustamente trattenuti lontano dalle loro famiglie e dalla loro Patria. Dobbiamo procedere in un serio impegno di rinnovamento e di riforma dello strumento militare, razionalizzando le nostre strutture e i nostri mezzi, come si è iniziato a fare con la legge in corso di attuazione, e sollecitando il massimo avanzamento di processi di integrazione al livello europeo. Potremo così soddisfare esigenze di rigore e di crescente produttività nella spesa per la Difesa, senza indulgere a decisioni sommarie che possono riflettere incomprensioni di fondo e perfino anacronistiche diffidenze verso lo strumento militare, vecchie e nuove pulsioni demagogiche antimilitariste”.

Giorgio Napolitano lo ha fatto ancora. Ha perso una buona occasione per riabilitare una figura che è lontanissima dal tessuto più profondo e puro di questo Paese. Ma sembra che non se ne sia accorto nessuno. Niente polemiche, niente commenti a quanto detto. Ovviamente silenzio assoluto dentro il Pd.

Eppure da cittadino che crede nella Costituzione, a me quelle parole hanno fatto orrore. Non credo di essere stato il solo a provarlo. Cosa c’entrano le forze armate e, soprattutto, i due marò con la Resistenza? Come si può pensare di onorare due che, al di là della questione processo, non processo, estradizione o non estradizione, regole di ingaggio e così via, sono accusati di omicidio, di aver sparato su due pescatori scambiati per pirati. Due soldati addestrati che commettono un errore da dilettanti che è costato due vite. Cosa ci azzeccano i marò, ai quali Napolitano sembra essersi affezionato, con i partigiani, i resistenti, i cittadini eroi, i carabinieri alla D’Acquisto, i soldati che  si rifiutarono, pagando con la morte, di  eseguire gli ordini dei nazisti e di sparare sulla propria gente?

Dove sono finiti gli esempi, presidente Napolitano? E poi, non è quantomeno squallido e offensivo utilizzare il giorno delle celebrazioni, il giorno della memoria nazionale per lanciare un messaggio acido nei confronti di chi chiede che non si acquistino armamenti come gli F35 e che piuttosto si dimezzi la spesa militare di un Paese che vive in pace e si spendano quei soldi per uno stato sociale che ormai è defunto?

Credo che questo suo ultimo discorso, signor presidente, sia strumentale, fazioso e inadeguato alla carica di chi dovrebbe rappresentare e incarnare i valori della Costituzione sulla quale ha giurato.

Il 25 aprile, quest’anno, ha dovuto subire anche quest’ennesima onta.

Mi permetta, da cittadino, di dissentire e di criticare. Di dirle, ancora una volta, con cortese fermezza e non con intenti di vilipendio, che non mi sento rappresentato da Lei. E che dovrebbe chiedere scusa a tutti gli italiani che credono nei valori di una democrazia fondata su lavoro, giustizia e solidarietà. E non sulla guerra, sugli armamenti, sui marò che sparano a caso o persino sugli atti isterici contro le procure che cercano di consegnarci un po’ di sacrosanta e attesa verità.