Questa settimana, abbandoniamo il freddo e la nebbia della periferia milanese per buttarci anima e corpo nel sogno grossetano della band Abiku. I nostri lettori più fedeli ricordano forse un’entusiasta recensione da queste parti del loro primo album: “Lontana da qui”. Da quei tempi ne è passata di acqua sul fiume Ombrone e la Band di Bargagli e co. sforna alla fine di dicembre un nuovo lavoro, “Technicolor”. Più consistente e studiato del precedente, ma nel quale emerge con delicatezza (in pieno stile Abiku) e anche con decisione lo spirito di questa band. Un sogno di canzoni, quest’album. Introduzione elettronica con tempi molto lunghi ed echi degni di una foresta elfica nei migliori film. E mentre questa musica ci culla, in realtà ci riporta verso le prime luci dell’alba. E piano piano ci svegliamo sul sottofondo di una batteria appena accarezzata e una pianola che le offre il braccio.
Così arriviamo a Vieni a vivere con me (Quando ti addormenti). Sono più o meno le nove e mezzo di un sabato di festa, magari anche del 26 di dicembre. Un chill out non fine a se stesso ma con quel tocco di romanticismo. “Vieni a vivere con me la sera, quando ti addormenti”. Una dolcezza infinita che ci porta in strada per una passeggiata e sembra di essere in piazza Dante a Grosseto e poi giù per il corso sulla musica di Saint Etienne. “Le ragazze disegnate sui muri, il rosa pallido sui vestiti a fiori, il sole delle dieci del mattino al sabato riflesso dagli occhiali scuri. Come cambiano le persone a seconda della stagione,a seconda dell’umore, a seconda delle parole”.
Giacomo Amaddii disegna una mattinata primaverile in modo eccezionale con il realismo di chi non perde il contatto con la concretezza delle cose quotidiane ma tirando fuori il bello che in fondo c’è in un giorno di sole. E allora camminiamo godendoci le immagini di vita che si colgono nelle strade, facciamoci portare lontano, anche nel tempo, dai nostri pensieri. Perché poi arriva il mezzogiorno e la title track Technicolor: “Pochi anni ancora e ce ne andremo via di qui, la storia degli eterni provinciali. Parole fuori sincronia che basta un battito di ciglia per spazzarle via. Io quando avevo la vostra età stavo male, volevo ciò che non potevo avere, dimenticavo il mio diritto di amare”.
A giudizio chi scrive, questo pezzo è il migliore dell’album; a pari merito, c’è da dirlo, con I nostri Temporali. Bellissima sulla chitarra che va la frase: “Ricordati di santificare gli errori, che sono la sola maniera di tirarsi fuori. Ne conto decine di milioni stipati in almeno altrettante canzoni”. Il cd ha una completezza nel suo insieme, il che di questi tempi non è così facile da trovare. Un indie-pop fatto con gusto e con intelligenza. Chi scrive pensa che ce ne sia un gran bisogno di questi tempi. Per affermare ancora una volta la potenza della poesia sulle difficoltà e sulle miserie della vita. Unica raccomandazione: bisogna essere in un bel posto per ascoltare questo cd sennò ci fa del male. Però nel dubbio tenetelo buono, scaricandolo da qui, almeno delle ferie le avrete, no?
Penna Bianca -ilmegafono.org
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