Gaetano Riina, fratello del super boss Totò, detto “U curtu”, nessuna condanna per mafia a suo carico e, apparentemente, lontano dagli ambienti criminali, appariva agli occhi della gente come un semplice agricoltore ormai molto in là con letà e il cui unico problema era quello di condividere un cognome troppo importante. Ma a smascherare questa falsa realtà e a scoprire uno scenario ben diverso da quello appena presentato ci hanno pensato i carabinieri di Monreale (Pa ), insieme al gruppo speciale dei ROS, i quali sono riusciti ad arrestare il fratello di Totò e ad altre tre persone, tra cui due pronipoti di Riina, tutti accusati di estorsione e di associazione mafiosa. L′operazione, denominata “Apice”, ha rivelato non poche sorprese ai pm e alle forze dell′ordine di Palermo e di Mazara, confermando, allo stesso tempo, una ricostruzione già effettuata tre anni prima, a seguito dell′inchiesta “Perseo”, che aveva portato alla scoperta scioccante di un Totò Riina ancora a capo di cosa nostra, nonostante la sua detenzione in carcere in regime di 41bis.
Oggi, a qualche giorno di distanza dall′arresto del fratello e della chiusura delle indagini, forze dell′ordine e magistratura sono riusciti a svelare alcuni dettagli importantissimi che hanno permesso di completare ulteriormente il “puzzle” criminale della mafia siciliana, smontando alcune ipotesi che vedevano a capo di cosa nostra il latitante Mattia Messina Denaro: il capo dei capi, infatti, è ancora lui, Totò Riina. Ma come è possibile tutto ciò? Cosa spinge gli inquirenti a pensare che poco o niente sia cambiato dal 1993 ad oggi? “Innanzitutto – ha spiegato il procuratore capo di Palermo, Francesco Messineo – il fatto che all′interno della mafia, le procedure formali di avvicendamento al vertice prevedono un meccanismo complesso che, per qualche motivo, non è stato possibile ancora attuare”. “Inoltre – ha continuato – l′atteggiamento di ossequio da parte delle nuove leve nei confronti del vecchio capo”.
Più precisamente, è possibile notare come in una delle lettere di Messina Denaro a Provenzano ci sia scritto di aver ricevuto una lettera da parte dello “zio Totò R.”. Questo, secondo gli inquirenti, confermerebbe l′idea che Riina riesca a comunicare con i propri compari. Il magistrato Marzia Sabella, sostituto procuratore del capoluogo siciliano, lo ha più volte ripetuto nel corso di un′intervista, definendo Denaro come il “pupillo di Riina”, e lo stesso come “capo di cosa nostra”, affermando ancora una volta la possibilità che, nonostante il regime di 41bis, i boss mafiosi possano a comunicare con l′esterno. “Se un mafioso manda una cartolina con gli auguri di Natale – ha spiegato il giudice Sabella – non glielo puoi impedire”. Ma gli affari di famiglia vanno avanti.
E se Riina non è in grado di gestire al meglio la cosca, ecco spuntare il nome del fratello, Gaetano, promosso al ruolo di “rappresentante del mandamento di Corleone” , figura di spicco della famiglia (anche se spesso lontano dai riflettori e dall′attenzione dei media), abile consigliere delle giovani leve, oltre che vero e proprio capo mafioso. Era lui, infatti, a gestire i terreni conquistati dal fratello e a mantenere un rapporto di pace e reciprocità con le altre famiglie presenti nel territorio. Era lui che, dal 1997 al 2004, aveva ottenuto dei contributi comunitari nell′ambito agricolo pur non avendone i requisiti (fatto che gli è costato la restituzione dei soldi per una cifra vicina ai 25 mila euro); inoltre fu proprio a lui che venne confiscato un immobile a Mazara ( il giudice Alberto Giacomelli, nel 1988, tre anni dopo la confisca, fu ucciso).
Inoltre, secondo le indagini, Gaetano Riina, dopo l′arresto del fratello, avrebbe “preso le redini economiche della famiglia di sangue e tessuto le strategia dell′organizzazione criminale di Corleone”, fornendo “indicazioni sulla gestione del patrimonio familiare”. Infine, a completare già uno scenario piuttosto vasto, un′altra indagine (questa volta effettuata dalla Dia di Roma) sulle infiltrazioni della ′ndrangheta e della camorra nel polo agroalimentare di Fondi includerebbe il nome dello stesso Gaetano: nel corso della stessa inchiesta, infatti, gli inquirenti avrebbero scoperto che cosa nostra, assieme ad alcuni clan calabresi e campani, avrebbe stipulato un patto di fiducia nel controllo dello stesso polo, confermando ulteriormente il tentativo di riorganizzazione e di controllo del potere economico da parte della mafia siciliana.
Nonostante la cattura del boss, comunque, per gli inquirenti manca ancora un tassello che vale più di ogni altra cosa: è una coincidenza che Riina “junior” si sia trasferito a Mazara, in provincia di Trapani, regno incontrastato del super latitante Denaro? Che cosa significa la decisione di abbandonare l′originaria Corleone? Questo, ma non solo, è uno dei tanti quesiti che attendono ancora una risposta. Una risposta che, si spera, possa portare finalmente all′arresto del latitante più ricercato d′Italia.
Giovambattista Dato – ilmegafono.org
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