La battaglia intrapresa tempo fa da Giuseppe Antoci, ex presidente del Parco dei Nebrodi, sta portando a risultati importantissimi. A distanza di due anni dal terribile attentato, avvenuto la notte tra il 16 e il 17 maggio 2016, dal quale Antoci uscì illeso grazie alla prontezza e al coraggio degli agenti di scorta, alcune persone che figuravano nella lista dei mandanti e degli esecutori di quel tentato omicidio sono finite nelle maglie della giustizia. L’indagine, denominata Nebros II, è diversa e non collegata, va precisato, all’inchiesta sull’agguato (che, tra l’altro, si è conclusa con un’archiviazione proprio qualche mese fa).

Questa volta sono ben 14 gli arresti di esponenti di un clan mafioso che operava a Bronte, rei, secondo l’accusa, di “turbativa d’asta aggravata dal metodo mafioso per l’ottenimento di concessioni, e relativi fondi europei, su terreni ricadenti nell’area del Parco dei Nebrodi”.

Tutto ciò non può che confermare quanto già all’epoca aveva denunciato Antoci, che qualcuno cercò di eliminare per porre fine alla politica di legalità dell’allora presidente, una politica di austerity e di controlli sempre più attenti e precisi nell’assegnazione dei lotti da pascolo, proprio per evitare possibili intrusioni mafiose e criminali. Antoci, il quale conosceva e conosce molto bene la situazione dell’area, aveva infatti combattuto fortemente affinché i fondi europei destinati a tale assegnazione venissero gestiti nel miglior modo possibile. Questo aveva causato l’ira delle famiglie mafiose colpite, che avevano pensato di risolvere la cosa a modo proprio.

Adesso, grazie soprattutto al lavoro prezioso svolto dal Tribunale di Enna e dalla Dda di Caltanissetta, il quadro incomincia ad avere un aspetto molto più chiaro e lineare: innanzitutto, secondo quanto emerso, i clan mafiosi della zona sarebbero riusciti a sottrarre fondi europei per un totale di ben 3 milioni di euro, realizzando così un furto non solo nei confronti dell’amministrazione pubblica, ma soprattutto della collettività e delle comunità locali nello specifico.

Inoltre, e questo è forse il punto che più fa riflettere, tutto ciò sarebbe stato reso possibile con la collaborazione di un funzionario pubblico, che, nonostante la presenza di una gara regolare per l’affidamento dei lotti da pascolo, avrebbe fatto sì che gli arrestati venissero favoriti e ricevessero così in gestione gli stessi terreni. Insomma, siamo alle solite. Corruzione e affarismo sono lo stagno nel quale le mafie sguazzano. Un male che non cessa di esistere e che, anzi, sembra propagarsi ed espandersi in tutto il Paese.

L’inchiesta appena conclusa ha prodotto un ottimo risultato nella lotta alla criminalità sui Nebrodi, soprattutto per ciò che concerne il pascolo e l’allevamento. Ad ogni modo, c’è ancora molta strada da fare e soprattutto c’è da non commettere l’errore di abbassare la guardia. Soprattutto bisognerebbe comprendere che persone come Giuseppe Antoci andrebbero difese di più e sostenute. E non certamente rimosse dal ruolo di presidenza di un Parco nel quale ha introdotto e tutelato la legalità. Anche a rischio della propria vita.

Giovanni Dato -ilmegafono.org