Dopo oltre sette anni di guerra civile la Siria è diventata ormai un terreno di scontro tra le potenze regionali e mondiali per l’egemonia del Medio Oriente. L’ultimo attacco a guida Usa avvenuto nella notte tra il 13 e il 14 aprile nelle aree di Damasco e di Homs ha di fatto dimostrato che l’Occidente c’è e intende contenere l’influenza russa in Siria. A sostenerlo è Valeria Giannotta, docente di Relazioni internazionali presso l’Università di Ankara, profonda conoscitrice della Turchia ed esperta di questioni geopolitiche, in un’intervista rilasciata a “IlMegafono.org”.
“Il messaggio è chiaramente rivolto a Mosca, alleato del presidente siriano Bashar al Assad, e intende comunicare che nessuna decisione può essere presa senza tenere in considerazione gli Usa”, spiega la Giannotta. “Un ulteriore obiettivo strategico è il contenimento dell’influenza iraniana. Non è infatti un mistero che l’amministrazione del presidente Donald Trump consideri l’Iran uno stato canaglia. Gli avvenimenti sono da leggersi alla luce della logica di contenimento ed equilibrio di potenza”.
La Turchia, da parte sua, ha accolto con favore l’operazione degli Stati Uniti: “Ankara – continua la docente – è sia membro della Nato che garante del cessate il fuoco insieme a Iran e Russia (nel gruppo costituito con le riunioni di Astana e Sochi) ed è sempre stata risoluta nel dichiarare la propria contrarietà al regime di Assad. Nonostante le alleanze, questo non è cambiato. Inoltre, in una logica di leadership regionale il progressivo contenimento dell’Iran è funzionale anche alla Turchia”.
Secondo la Giannotta, quel che è percepito come “un’oscillazione dei rapporti tra Turchia e i principali alleati nello scacchiere siriano” è in verità “da leggersi alla luce della protezione degli interessi nazionali. Come detto, Ankara è ferma sulla dipartita di Assad ed è altrettanto risoluta a difendere i propri confini da quelle che sono ritenute minacce per la propria sicurezza ed integrità territoriale, nel caso specifico Partito democratico dell’unione siriana (Pyd) e Forze democratiche siriane (milizie curdo-arabe Sdf) considerate organizzazioni sorelle del fuorilegge Partito dei lavoratori del Kurdistan”.
La principale linea di frattura con gli Stati Uniti, infatti, deriva dal supporto Usa accordato a queste organizzazioni. “In questa luce, appoggiare l’attacco occidentale non implica una risaldatura dei rapporti e una spaccatura con la Russia – continua la Giannotta -. I rapporti tra Ankara e Mosca sono geneticamente affetti da discrepanze in Siria, ma saldati da interessi strategici ed economici. Senza l’avvallo russo per la Turchia sarebbe stato impensabile condurre prima l’operazione ‘Scudo dell’Eufrate’ e poi la più recente ‘Ramo d’ulivo’ con la presa del cantone curdo di Afrin e sarebbe altrettanto difficile mantenere i punti di osservazione su Idlib (una delle zone di sicurezza stabilite in Siria)”. Con “il silente beneplacito russo”, Ankara conduce quindi la propria lotta alle organizzazioni nemiche mettendo in sicurezza i propri confini.
Secondo la docente di Relazioni internazionali presso l’Università di Ankara, “i rapporti commerciali ed economici a livello bilaterale stanno inoltre creando delle dipendenze significative, come nel caso del consorzio turco-russo per la costruzione della centrale nucleare di Akkuyu (la prima della Turchia), e impongono collaborazioni, restringendo i margini di attrito. In breve, in Siria per la Turchia è l’interesse nazionale che muove i fili delle dinamiche e gli sviluppi futuri dipenderanno principalmente da questo”.
Negli ultimi giorni il governo Usa ha lasciato nuovamente trapelare l’intenzione di smobilitare le proprie truppe in Siria, ma “si tratterebbe solo di un’operazione cosmetica – conclude la Giannotta -. Gli Stati Uniti ricorreranno probabilmente all’appoggio dei paesi del Golfo. La loro intenzione è mostrare i muscoli e far vedere che ci sono, ma senza un effettivo coinvolgimento diretto nella regione”.
Giorgia Lamaro -ilmegafono.org
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