Se per qualche mese abbiamo seguito la noiosa vicenda di Emiliano, Bersani e D’Alema che dissotterravano le asce di guerra e provavano a ritagliarsi un po’ di spazio nel cinema politico, eccezionalmente travestiti da protagonisti di “Ecce bombo”, adesso a meritare attenzione è il cosiddetto patto dell’arancino. Meloni, Salvini e Berlusconi più che alleati adesso sembrano separati in casa e, forse, il bello deve ancora venire. La composizione degli animi non è certo facile se si mettono al tavolo il “pasionario” leghista e “l’uomo di Stato”. C’era anche da aspettarselo, dati alcuni trascorsi dei personaggi in campo.
Il pubblico “dell’incazzereccio” Matteo sicuramente non deve vedere di buon occhio il condannato Berlusconi. Anzi, fu proprio Salvini, in un tweet del 2013, ad accusare il Pd di essere al governo con un condannato. Berlusconi, dal lato suo, ha iniziato il consueto climax della promessa. Rassicurante, come già avevamo fatto notare su queste colonne, lancia il cuore oltre l’ostacolo a calmare le agitazioni del popolo. Interviene su tutto, dicendo di tutto. Carico a mille, promette subito una stilettata di riforme epocali, si rimangia nel giro di due giorni le dichiarazioni sul Jobs Act, contraddice l’alleato. Il Cav è in formissima e finalmente ritorna a sguazzare giocando con la pancia del pubblico. Showman nato ha (e vuole) i riflettori puntati addosso e lo spettacolo non deluderà mai.
Su questo sfondo, il clamoroso addio di Maroni, giustificato con problemi personali (gli auguriamo di non averne alcuno e che sia solo una grossa scusa), arriva a sparigliare il campo. Che il candidato in pectore, con la vittoria in tasca, faccia dietrofront non è bello. Soprattutto se a contenderlo c’è un sindaco di Bergamo, un Gori, con giusto una spolverata leggera di sinistra e tanto (tanto) centro che corre seriamente per vincere. Stiamo parlando della Locomotiva d’Italia, quella Lombardia ricca, prosperosa e tremendamente avanti. La mossa è strana, imprevedibile e pare cogliere di sorpresa gli stessi protagonisti. Normale chiedersi cosa bolla in pentola.
L’atmosfera si fa particolarmente tesa con un’intervista allo stesso Maroni al Foglio (leggi qui). Ne emerge una vera e propria rottura con il segretario della Lega e, se i dati dei sondaggi fossero confermati, ciò disegnerebbe uno scenario in cui pensare a un Maroni presidente del Consiglio diventerebbe difficile. Insomma, le sue sono dichiarazioni che sembrano sgombrare il campo dalla possibilità di un Maroni premier con il sostegno della Lega.
Da qui, con uno sforzo di fantasia, si potrebbe fare un passo in avanti. O davvero Maroni è fuori solo dalla corsa e la mossa, magari su input di Villa San Martino, è quella di indebolire Salvini e la Lega privandoli di uno dei due “uomini delle istituzioni” (l’altro è Zaia), oppure Maroni è davvero fuori da tutto e Berlusconi prepara altre alleanze (magari col PD lasciando a Renzi la Lombardia?). Nomi di premier non se ne fanno ed è difficile che Salvini strappi delle percentuali tali da poterlo accreditare, considerati anche i mal di pancia di Forza Italia. Chi allora?
Sicuramente è fantapolitica, sappiamo quello che si legge sui giornali, e ci basta. Il dato, parziale e da prendere con le pinze, è che il PD ormai è tagliato fuori dalla corsa. Restano i 5 stelle, che paiono sgonfiarsi piano piano, complice anche il tam tam mediatico sui problemi di Roma e la lotta serrata che da (centro) destra muovono a Di Maio. Salvini-Berlusconi e Meloni valgono ben oltre il 30% e sembrerebbero destinati a governare, a patto che la legge elettorale lo consentisse e non avesse invece l’anomalia di non garantire maggioranze e governabilità a nessuna forza in campo. Eppure le premesse di una buona convivenza mancano del tutto (sembrano i toni carini che si usavano nel PD prima della scissione).
Dobbiamo però, molto probabilmente, aspettarci qualche rimpasto di alleanze, perché gli equilibri sono labili e gli interessi in campo tanti. Il tutto complicato da una miriade sterminata di formazioni politiche presenti. Ormai il panorama va osservato senza alcuna speranza, con bieco cinismo e sarcasmo. La situazione è incomprensibile e assolutamente ingarbugliata: non esiste nessun leader che sia al contempo credibile e carismatico, allo stato dei fatti un PD e Liberi e Uguali assieme potrebbero raggiungere il centro destra ma a quanto pare è sempre bello “non-vincere”.
Il nostro panorama politico somiglia alla Libia dei capi tribali post Gheddafi e molto probabilmente avremo un governo monco e ingessato dalla paura di far male all’alleato. Diceva Mao: grande confusione sotto il cielo, la situazione è ottimale. A noi non resta, ahinoi, che goderci lo spettacolo.
Penna Bianca -ilmegafono.org
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