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Quando nel 2012 ho avuto l’onore di realizzare e curare “Dove Eravamo – Vent’anni dopo Capaci e Via D’Amelio”, libro di testimonianze sulle stragi del 1992, il primo pensiero è stato di coinvolgere due persone in rappresentanza delle famiglie di Falcone e Borsellino: precisamente Maria Falcone e Salvatore Borsellino. Il ricordo più forte che mi porto sempre dentro è la commozione di Salvatore mentre mi raccontava del suo dissidio interiore, di quella stanchezza provvisoria che aveva patito di fronte a una lotta infinita e apparentemente senza speranza. Ricordo ancora i suoi occhi lucidi e la voce rotta dall’emozione mentre mi diceva di aver compreso successivamente che quell’atteggiamento di sfiducia, che lo aveva colpito a un certo punto della sua vita, era stato egoista perché non considerava un elemento che Paolo Borsellino aveva ben chiaro: la necessità di condurre la lotta alla mafia non per assistere di persona alla vittoria finale, ma per permettere alle generazioni future di godersi quel momento straordinario. L’altruismo era un valore fortissimo nella concezione e nella vita personale e professionale del magistrato palermitano.
Ed è la ragione che anima ancora la lotta di Salvatore e di tutti quelli come lui, di tutti coloro che davvero, senza altre finalità, politiche o di egocentrismo personale, combattono per l’obiettivo comune. Ritengo pertanto che Salvatore Borsellino e la sua famiglia, così come i familiari delle vittime di mafia, possano anche non essere simpatici a qualcuno (e ci mancherebbe, ciascuno ha il proprio carattere), ma meritano rispetto assoluto, soprattutto per quel che riguarda il loro dolore (incancellabile) e la tutela della memoria dei loro cari.
C’è un altro ricordo che mi viene in mente ed è legato al 2011, quando ho preso parte ad un’antologia, “La Giusta Parte”, nella quale, oltre alla storia di Pippo Fava, ho raccontato l’esperienza antimafiosa e rivoluzionaria del Comune di Gela guidato da Rosario Crocetta.
All’epoca lo stimavo moltissimo.
Da molto tempo, invece, quella stima è finita, quella storia rimane ma ormai è sbiadita, sepolta sotto quintali di errori, megalomanie, passaggi a vuoto, inaccettabili promiscuità politiche.
Se confermata, la recente vicenda delle frasi di Tutino su Lucia Borsellino, figlia di Paolo, è assolutamente esemplare della codardia di un uomo che ormai non si indigna più se sa che questa indignazione potrebbe significare dare un calcio in culo al potere e alla vanagloria personale. Un uomo che vede la mafia dentro movimenti puliti come il No Muos e poi non si accorge di che razza di individuo è il suo medico personale, così come molti dei candidati di quella lista (per mia sfortuna ha deciso di chiamarla “Il Megafono”, come il sito che dirigo da molti anni prima della nascita della lista) che, alle regionali vinte, ha ospitato di tutto.
Personalmente, non provo particolare “passione” per il silenzio di Crocetta nella telefonata, ma solo perché ritengo che la sua esperienza politica alla Regione sia talmente fallimentare e i suoi errori siano talmente tanti da bastare per pretenderne le dimissioni (anche se dal futuro della classe politica della mia isola non mi aspetto ahimè di meglio). Già da tempo, questo pessimo governatore avrebbe dovuto fare un passo indietro.
Credo che questa sua silenziosa telefonata, questa sua mancanza di coraggio, questa incapacità di dire al suo potente medico di farsi ricoverare o di andarsene a quel paese, riempiendolo di insulti (“mafioso” avrebbe dovuto essere il primo), siano il chiaro frutto della sua imbarazzante metamorfosi. Capisco che questo episodio (increscioso indubbiamente) faccia più notizia, che animi le indignazioni di tutti, anche di chi ogni giorno tace dinnanzi allo scempio mafioso delle nostre istituzioni e della nostra Repubblica. Non parliamo poi del fatto che, ultimamente, l’argomento più utilizzato per attaccarlo sia stato quello becero e triviale relativo al suo orientamento sessuale.
Scusatemi, però, se, a parte il mio immenso fastidio per le parole di quel medico culturalmente tarato e moralmente sotto il giudizio della magistratura, preferisco ancora collegare la mia disistima per Crocetta, più che al suo silenzio telefonico, alle sue tante orribili manovre politiche, ai suoi personalismi tristi, alla sua inerzia colpevole e alle sue posizioni indigeribili su questioni fondamentali della terra che amo e legate alla salvaguardia e alla crescita del suo inestimabile patrimonio umano, storico, artistico ed ambientale.
Massimiliano Perna
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