Con il referendum greco, per la prima volta, l’Ue si è trovata ad esser sfidata in campo aperto da una forza che siede alla sinistra estrema del parlamento europeo e che rivendica con orgoglio la difesa di quelle tematiche sociali che il resto delle forze politiche dell’area socialista hanno dimenticato o messo da parte, in nome dell’austerity e dell’obbedienza agli imperativi di Bruxelles. Syriza e Tsipras rappresentano una novità non prevista, l’elemento di disturbo, l’ospite inatteso che “pretende” di sedere su una sedia al tavolo della sovranità e non sullo sgabello in un angolino stretto e con l’obbligo di sparecchiare e pagare il conto. Sono una voce da sinistra che manca nelle altre nazioni europee, coperte dalla nebbia appiccicosa delle forze “progressiste”, che nutrono il proprio egoismo dentro le camere oscure del Pse, e dalle nubi minacciose dei populismi che crescono, si mischiano, si sostengono e, da destra, provano a riportare indietro l’orologio della storia.

La posizione greca è cruciale, perché, se l’Europa saprà accoglierla davvero e comprenderla, rimettendosi in discussione, potrebbe aprire un’epoca nuova e riportarci al senso originario dell’esistenza dell’Unione. Se, invece, si continuerà a combatterla e respingerla, scegliendo la linea dura, allora bisognerà che qualcuno si assuma la responsabilità storica di una tensione e di una conflittualità che potrebbero alimentare pericolose avanzate delle peggiori forze euroscettiche, che sono altra cosa rispetto a Syriza, la quale chiede semplicemente un’Europa diversa, più equa e solidale. “La scelta coraggiosa del popolo greco – ha detto Tsipras al parlamento europeo – non è una scelta di rottura con l’Europa, è la scelta di tornare a valori comuni come democrazia, solidarietà, rispetto reciproco e uguaglianza. Il messaggio uscito dal referendum è chiarissimo: l’Europa, la nostra struttura comune, o sarà democratica o avrà serie difficoltà a sopravvivere in queste circostanze difficili”.

La storia ci può fornire un importante riferimento. I tedeschi soprattutto dovrebbero imparare da ciò che è stato il periodo precedente alla formazione del sogno europeo. In questi giorni, qualcuno cita gli accordi di Versailles del 1919 e non lo fa a caso. È evidente che il contesto è molto diverso e che lì si era appena usciti da una guerra massacrante, terribile, che aveva messo in ginocchio molti paesi, oltre al fatto che il mondo era dominato da equilibri differenti; ma l’atteggiamento delle potenze vincitrici nei confronti della Germania e le conseguenze che ne derivarono meritano attenzione. L’umiliazione subita all’epoca dai tedeschi fu inaudita e gettò le basi per un sentimento di rivalsa che, sobillato dalle questioni etniche e dalle idee antisemite, sfociò nel nazismo.

Con ciò non si vuole affermare che la Grecia possa dar vita a una cosa simile, ma sicuramente le tante forze xenofobe e populiste, presenti nei vari paesi europei (Grecia compresa), potrebbero sfruttare la questione greca ed ergerla a simbolo massimo dell’umiliazione che quest’Europa produce nei confronti dei popoli sovrani. Se a ciò uniamo l’immancabile elemento dell’identità e del nemico comune, che viene individuato nei migranti, gli elementi per una ventata reazionaria violenta ci sono tutti. E se in Francia la Le Pen ha conosciuto una battuta d’arresto, ci sono paesi nei quali invece l’estrema destra (nelle sue varie forme) o alcuni movimenti ibridi (giustizialisti, xenofobi e antieuropeisti) cominciano a governare o ad avvicinarsi a percentuali preoccupanti, grazie soprattutto alla pochezza di governi completamente appiattiti sulla linea dell’austerity e incapaci di attuare politiche di grande respiro sociale.

L’assenza, poi, nella gran parte delle nazioni dell’Euro, di una sinistra forte “alla Syiriza”, che non accantoni la lotta alle disuguaglianze sociali, priva la società attuale di un contrappeso importantissimo. Ecco perché Tsipras è diventato per molti una speranza, l’ultima speranza di cambiare l’Europa, di fermare il declino a cui le oligarchie politico-finanziarie la stanno portando, prefigurandola, nell’immaginario dei cittadini, come una istituzione egoista che ha richiesto solo sacrifici senza mai dare in cambio vantaggi percepibili, in termini di occupazione e di crescita economica. La linea dell’austerità è stata un fallimento e ha prodotto instabilità politica oppure la nascita di governi la cui stabilità è solo un contraccambio rispetto all’esecuzione servile degli imperativi della troika.

L’Italia, ad esempio, ha mostrato la sua faccia peggiore, con un premier profondamente incapace di mediare, convinto che il nostro Paese stia crescendo grazie alla lunga politica di austerity e a riforme che, a suo dire, la stanno portando fuori dalla crisi. Renzi ha mostrato tutta la propria ignoranza, non riuscendo più a coprirla con slogan o artifizi comunicativi. Lo spessore di Tsipras, il suo coraggio di rischiare, la nobiltà di subordinare il proprio futuro politico agli interessi della nazione e dei cittadini, hanno messo in evidenza, in maniera impietosa, la pochezza del premier italiano, che altro non ha saputo fare che adeguarsi alle voci menzognere sulla Grecia, sui tanti aiuti ricevuti o sulle pensioni a cinquant’anni. Fandonie circolate in maniera indegna, che lasciavano pensare alla Grecia come ad un paese che se la godeva con i soldi degli altri, ricca e piena di fannulloni.

Peccato che la questione sia completamente diversa e comunque relativa a una parte minoritaria della popolazione o a imbrogli e scappatoie su cui noi italiani non possiamo certo permetterci di fare i moralisti. Tsipras, peraltro, non nega le responsabilità dei suoi predecessori: “Per tantissimi anni – afferma – i governi greci hanno creato uno stato clientelare, hanno alimentato la corruzione tra politica e imprenditoria e arricchito solo una fetta di popolazione. Il 10% dei greci detiene il 56% della ricchezza del paese; e questa enorme disuguaglianza unita ai programmi di austerità, invece di correggere, ha appesantito la crisi”.

“La Grecia e il popolo greco – prosegue Tsipras – hanno fatto uno sforzo senza precedenti per il cambiamento. In molti paesi europei sono stati applicati programmi di austerità, ma da nessuna parte così duri e per così tanto tempo”. E gli aiuti con i quali l’Europa afferma di aver sostenuto i greci sono un’altra grande bugia, dal momento che quei soldi sono finiti ai creditori privati, alle banche tedesche, francesi e greche, non di certo al popolo, a cui finora si sono chiesti solo sacrifici tremendi.

L’ora finale è ormai giunta, Tsipras ha presentato la sua riforma e ha dovuto lavorare anche sul fronte interno per superare alcune resistenze e ottenere il sì del suo parlamento. Adesso bisognerà vedere cosa accadrà. Al di là della positiva valutazione del piano da parte dell’Eurogruppo e della risposta definitiva che daranno i leader Ue (con la Merkel  che sembra non voler mollare), bisognerà vedere che effetto produrrà il caso greco sul futuro politico dell’Unione e sulle scelte dei cittadini dei diversi stati. La Germania dovrà essere convinta ad ammorbidire la propria linea, la Francia forse sta già pensando di farlo, mentre in Spagna, dove a fine anno si voterà, Podemos crede nella possibilità di vincere e magari seguire la linea di Tsipras. La Grecia, intanto, oltre a cercare di salvarsi, prova a far da stimolo a un cambiamento generale, sperando che tutto si risolva all’interno dell’Europa e non si concluda con l’exit, che avrebbe contraccolpi, economici e politici, su tutta l’Unione. L’Europa insomma è al bivio. Un bivio storico e cruciale. Per tutti.

Massimiliano Perna –ilmegafono.org