Qualcuno potrà considerarlo ripetitivo, ma poco importa. Perché quando qualcosa continua a sporcare il senso di ciò che dovrebbe essere uno Stato democratico, inteso come comunità che condivide dei valori inalienabili, non è mai inutile né sbagliato ribadire certi concetti. Come quello relativo al silenzio. Un silenzio che brucia e stona con il rumore dei passi dei tantissimi cittadini che sono scesi in piazza a manifestare solidarietà e vicinanza, con l’unico strumento possibile, andare per strada, metterci la faccia o uno striscione, chiedere azioni di tutela, interventi concreti, verità. Giustizia. Invocazioni che cadono nel vuoto di una assoluta e sospetta indifferenza da parte di chi avrebbe l’obbligo almeno di un gesto di condivisione, di vicinanza. Nulla. L’ennesima notizia, che viene da un importante collaboratore di giustizia, Vito Galatolo, sul progetto di attentato al giudice Nino Di Matteo, è stata snobbata sia dal capo del governo che dal presidente della Repubblica.
Nessuna parola, nessuna espressione di solidarietà. Tace Renzi, tace Napolitano. Come è accaduto in passato, come è successo recentemente dinnanzi alle allarmanti incursioni di ignoti negli uffici della procura di Palermo e del procuratore Scarpinato. Nell’esecutivo, il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, probabilmente sollecitato dalle iniziative a sostegno del magistrato (come quelle di Scorta Civica e Agende Rosse), è intervenuto promettendo, nuovamente, di dotare la scorta di Di Matteo di bomb jammer, il congegno che è in grado di intercettare e annullare tutti i radiocomandi a distanza in un raggio di un paio di centinaia di metri. Una promessa che era stata già fatta in passato, ma che non si è ancora tradotta in concreto. Il ministro Orlando, poi, ha assicurato che se la situazione lo richiederà, farà il possibile per potenziare le misure di sicurezza. Poca roba e soprattutto tardiva.
Da più di un anno, da quando si è scoperto il progetto stragista di Totò Riina, è risaputo ed evidente che Di Matteo sia un bersaglio. Eppure ancora non sono state attivate quelle misure che, bisognerebbe dirlo al ministro Orlando, sono già ampiamente necessarie e fortemente richieste. Le dichiarazioni di Galatolo sono preoccupanti. Il collaboratore di giustizia, arrestato a giugno, era uno degli uomini cardine del progetto voluto dai corleonesi. La ripresa di una strategia aggressiva, coincidente con la lunga fase di debolezza politica, avrebbe l’obiettivo di scoraggiare la ricerca della verità su quella trattativa Stato-mafia che potrebbe far saltare il sistema e i patti che ancora lo reggono in piedi.
Mafiosi e soggetti esterni alla mafia vorrebbero la morte di Di Matteo e avrebbero già predisposto il tritolo. L’esplosivo si troverebbe, secondo Galatolo, nascosto in un bidone tra Palermo e Monreale. O almeno si trovava lì fino a giugno, cioè fino a quando Galatolo non è stato arrestato, scegliendo poco dopo di collaborare con la giustizia. Una collaborazione importante (che a quanto pare ha già ottenuto dei riscontri) perché Vito è un esponente di spicco della potente famiglia che con i servizi segreti deviati ha intrattenuto rapporti diretti e importanti, dal momento che proprio i Galatolo furono i principali artefici del fallito attentato dell’Addaura, davanti alla villa di Giovanni Falcone, nel 1989. Di fronte a questa tremenda prospettiva, che ha spaventato i cittadini, ma che ha anche spinto Anm e perfino il Csm (abbastanza timido fino ad ora sulle minacce ai giudici palermitani) ad esprimere preoccupazione e solidarietà, fa davvero rabbia il totale silenzio di Matteo Renzi.
Un premier che, non solo, da quando risiede a Palazzo Chigi, non ha mai veramente parlato di lotta alla mafia né ha mai messo questo tema prioritario nell’agenda di governo, preferendo la lotta a sindacati, lavoratori, ambientalisti e magistrati, ma per di più non prende posizione su una delle vicende più gravi degli ultimi anni. L’indifferenza di Renzi rispetto al rischio di una nuova stagione stragista, il suo totale disinteresse rispetto alla riorganizzazione di un gruppo misto tra mafia e poteri deviati dello Stato, sono tutti elementi preoccupanti che non inducono certo a sperare in positivo. Nemmeno le sortite, tardive e vaghe, dei ministri sono utili a rassicurare.
Quello che ci si aspetterebbe, da un Paese che ha vissuto anni terribili che sembrano sempre lì, sul punto di ripresentare identiche dinamiche e identiche tragedie, è una presa di posizione netta, un clima di sostegno normativo, strutturale, culturale e popolare che una buona politica, realmente interessata a rinnovarsi e a spezzare vecchi sistemi, dovrebbe sollecitare e difendere. Ciò che invece vediamo sono frasi di circostanza, silenzi rumorosi, negligenze, sospette distrazioni o sottovalutazioni di ogni sorta. La politica nel suo insieme (nessuno escluso) è rimasta indietro. Forse volutamente (anche se pensare ciò non è né piacevole né rassicurante), forse per quel tremendo sonno, sull’argomento mafia e connivenze con lo Stato, nel quale questo Paese ha scelto di sprofondare, nella convinzione assurda che si trattasse di un tema ormai poco attuale.
Il timore, di fronte a tutto ciò, è sempre lo stesso: che in questa maledetta nazione, per svegliarsi e prendere coscienza, o meglio per far sì che lo Stato faccia lo Stato, si aspettino sempre e solo i morti. Questa Italia che non rottama nulla se non il buon senso, è sempre la stessa di quella che si annuncia di voler rottamare. Un’Italia che muove le mani solo per applaudire le bare, piuttosto che stringere i pugni per difendere i vivi. Speriamo che non ci sia bisogno ancora di eroi e di morti, nonostante i decenni di drammatiche lezioni impartite. Questa volta nessuno potrebbe salvarsi con una faccia contrita o con una dichiarazione di circostanza, magari affidata a un freddo social network. Perché la memoria, per fortuna, qualcuno di noi ce l’ha ancora buona.
Massimiliano Perna -ilmegafono.org
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