Travolgente e disorientante. Dopo tre anni dall’ultimo album, il 22 aprile è uscito “Museica”, ultima fatica di Caparezza. Un disco che non lascia scampo. Inutile tentare di non pagare il biglietto, spintonare verso l’uscita o fingere un attacco di crisi isterica o la nuovissima sindrome di Stendhal. Visita guidata obbligatoria! Non ci sono età vietate, professioni inconciliabili, impegni o giustificazioni che tengano. 

Un corridoio lunghissimo con diciannove opere esposte su ambo i lati. Diciannove tracce che possono essere ascoltate e riascoltate, cogliendo sempre nuovi particolari e spunti, come fossero pennellate su tela. Siamo abituati ormai, visto che le canzoni del Capa sono proprio questo: giocare e farsi gioco in primo luogo di sé stessi e delle proprie convinzioni, domare e tentare, volta dopo volta, di capire appieno testi, ricchi di riferimenti e spunti. Impresa ardua, un po’ come tentare di pettinare i capelli al cantautore pugliese.

Entriamo dunque in questo museo e in questa musica e troviamo, da un lato, l’arte che ci ha portato fin qui, raccontata, ostentata e reinventata, corrente dopo corrente, da artisti come Van Gogh, Giotto, Modigliani, i dadaisti e da poeti come Dante; dall’altro, come in un inferno personalissimo, in un girone  dei “giorni nostri”, troveremo figli d’arte in cerca di affetto (Compro Horror), che altro non sono che i tanti avvoltoi della cronaca, che mangiano un cadavere e una storia dopo l’altra per arricchirsi (“Ogni crimine ha un indotto che io trasformo in lingotto”), “compro horror” che trovi ovunque, proprio come quei compro oro che hanno svuotato i portagioie di parenti, amici, conoscenti.

E ancora, troveremo chi chiede ripetutamente una prospettiva, per non dover concludere un’altra volta con un “Non me lo posso permettere!”, chi non vuole calmarsi e respirare un po’ di più, chi bolla tutto con un “troppo politico” per non doversi interrogare e per non dover prendere una posizione.

La musica, in “Museica”, cambia di continuo, così come cambiano i tempi e le opere, gli stili di pittura, i protagonisti, le mode. Passa dal piano nostalgico e classico di China Town al violino e al ritornello tutto irlandese di Non me lo posso permettere. Dagli scenari cupi di Compro Horror all’irriverente pogo punk un po’ dadaumpa di Comunque Dada; dallo scatenato quadro beat tutto anni Sessanta di Giotto Beat a quello western di Cover. Per chi vuole il metal c’è anche quello! In confronti/duelli senza tempo, come in Argenti Vive, dove Filippo Argenti finalmente può rispondere a Dante e la musica si fa cattivissima, quasi death metal (sempre in chiave rap). Oppure metal quanto basta, come nel confronto tra un ragazzino di oggi e Van Gogh (Mica Van Gogh). In questa normalità fatta di solitudini e faccine, vincono i girasoli, le amanti, i viaggi e i lussuosi salotti di Van Gogh.

Una lingua così impertinente, veloce e intelligente plasma a suo piacimento qualsiasi genere e qualsiasi tela. Una lingua che riesce a far rivivere l’arte e raccontarne la verità e attualità in musica. Lui non teme di cantare ciò che pensa e non ritratta, se non in Avrai ragione tu (ritratto), ma solo perché costretto da un esercito di bolscevichi. Per ogni canzone una rappresentazione da cui trarre spunto: Francis Bacon, Francisco Goya, Marcel Duchamp, Andy Warhol, Antonio Ligabue e molti, moltissimi altri. Ancora una volta l’album di Caparezza va visto come una nuova scossa per tutti quelli che nascondono, dietro lo stress e l’apatia, cervelli troppo pigri e troppo poco curiosi. Lui ci sporca i pensieri e le mani di vernice, poi tocca a noi dipingere o fare da tela. Ballare e pensare ancora una volta grazie a Caparezza. Una nuova sfida per tutti quelli che credevano di avercela fatta, di essere anche loro usciti dal tunnel. Altra prova da superare: uscite indenni e vivi da questo “Museica”!

FrankaZappa –ilmegafono.org